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lunedì 15 ottobre 2012

Usa 2012: Grandi Elettori, come perdere il voto, ma vincere

Scritto per L'Indro il 15/10/2012

Il conto alla rovescia procede: - tre settimane, - 21 giorni, - 2 dibattiti tv (dei 4 programmati) all’Election Day del 6 novembre. E l’incertezza, invece di dissiparsi, s’ispessisce: 270towin, il sito che tiene il conto di quanti Grandi Elettori i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti possono considerare sicuri, ha riportato il conteggio a 201 per Barack Obama e 191 per Mitt Romney, cioè là dove eravamo a inizio settembre, con 11 Stati in bilico.

Il sito s’è dunque rimangiato la mossa fatta a inizio ottobre, quando ne aveva dati 237 a Obama, attribuendogli Pennsylvania e Michigan ora di nuovo incerti. E’ l’effetto del primo dibattito tv, quello in cui uno spento e remissivo presidente era stato nettamente battuto da un efficace e convincente sfidante.

Poi, la scorsa settimana, cè stato il confronto dei vice: meglio dei capi, come spettacolo, più vivaci e più combattivi. Joe Biden, il democratico, vice in carica, e Paul Ryan, il rivale repubblicano, partivano da posizione rovesciate rispetto ai loro ‘principali’: favorito, sulla carta, Ryan, più ferrato in economia, più aggressivo, più brillante, rispetto a Biden, incline alla gaffe, più anziano, solido in politica estera.

Ma Biden ha fatto meglio del previsto; e Ryan non ha deluso. Alla fine, un sostanziale pareggio, con i sondaggi a caldo che davano risultati disparati l’uno rispetto all’altro, testimoniando, soprattutto, la relativa inattendibilità di certi rilievi a tambur battente. Obama ha subito ringraziato, per la bella prestazione, il suo vice, che non ha ‘toppato’. Il ticket repubblicano non ha guadagnato ulteriore terreno, ma neppure ne ha perso.

In questa fase della campagna presidenziale, la tv si conferma tuttora strumento centrale, molto più di facebook e twitter che pure la facevano da padroni fino a settembre. E l’attenzione è tutta puntata sulle prossime date: domani, c’è il secondo dibattito fra Obama e Romney, all’Università di Hofstra a Hempstead, nello Stato di New York, con le domande del pubblico, e la prossima settimana, il 22, il terzo e ultimo all’Università di Lynn, a Boca Raton, in Florida.

Il finale di partita s’annuncia incandescente: il presidente ammette di essere stato troppo ‘educato’ nel primo dibattito; e fa intendere che ne terrà conto nei prossimi duelli. E i sondaggi indicano che lo sfidante ha annullato, a livello nazionale, lo svantaggio e che è anzi passato in testa (i margini d’errore dei rilevamenti rendono, però, il dato statisticamente irrilevante). Il presidente resta avanti in alcuni Stati chiave, come Ohio e Florida; a avrebbe ricevuto i tre quinti dei suffragi già espressi, là dove si può votare prima.

Il sistema dei Grandi Elettori, in questo momento, favorisce Obama. Il presidente degli Stati Uniti, infatti, non lo eleggeranno 100 milioni di cittadini americani, uno più, uno meno, andando alle urne il 6 novembre. I cittadini non eleggono il presidente, bensì i Grandi Elettori del loro Stato, ripartiti in funzione della popolazione. E sono poi i 538 Grandi Elettori - maggioranza, 270 - a eleggere il presidente: tutti quelli di uno Stato vanno al candidato che, anche per un solo voto popolare, vince in quello Stato. Ovviamente, per rendere le cose semplici, ci sono eccezioni: il Maine e il Nebraska ripartiscono i loro Grandi Elettori su base proporzionale, fortuna che sono pochi, 4 e 3 rispettivamente.

Allora quel che conta, sono i Grandi Elettori ancora contesi: Obama e Romney, ormai, fanno campagna solo nei loro Stati. Sulla mappa di 270towin, dove gli Stati blu sono quelli sicuramente democratici e i rossi quelli sicuramente repubblicani, restano beige New Hampshire (4) e Pennsylvania (20) nel New England; Virginia (13), North Carolina (15) e Florida (29) nel Sud; Ohio (18), Iowa (6), Michigan (16) e Wisconsin (10) tra MidWest e Grandi Laghi; Nevada (6) e Colorado (9) sulle Montagne Rocciose.

Non tutti gli Stati in bilico hanno la stessa valenza. Vi sono quelli tradizionalmente incerti, cosiddetti ‘swing States’, che votano alternativamente democratico o repubblicano: esempi tipici, l’Ohio, lo Iowa, la Virginia, la Florida; e vi sono quelli contesi questa volta per ragioni contingenti, che possono essere l’origine di un candidato o la popolarità di certe sue idee in una certa area.

Di tutti gli ‘Stati chiave’, i due ritenuti più significativi sono Florida e Ohio: per i repubblicani, conquistare la Casa Bianca senza vincere l’Ohio è un tabù; per chiunque, arrivarci senza avere vinto in almeno uno dei due è praticamente impossibile.

Perché questo sistema dei Grandi Elettori, invece del suffragio universale diretto? Negli equilibri costituzionali statunitensi, il meccanismo ha una valenza federale –i Grandi Elettori di ogni Stato corrispondono ai suoi deputati alla Camera più i due senatori, così che anche i più piccoli ne hanno almeno 3- e serve ad evitare che un presidente venga eletto con i voti solo di un’area geografica. Inoltre, il sistema è dinamico: il peso degli Stati varia in funzione degli andamenti demografici, l’Ohio ad esempio ne perde, come tutto il Nord-est in generale, la Florida ne acquista, come il Sud.

C’è però un neo: il sistema consente l’elezione di un presidente che abbia avuto meno voti popolari del suo rivale. E’ già successo tre volte, due nell’ ‘800 e la terza, recentemente, nel 2000, quando George W. Bush andò alla Casa Bianca avendo vinto la Florida per 250 voti, nonostante Al Gore avesse avuto su scala nazionale mezzo milione di suffragi in più. E, da come si sono messe le cose, nessuno può escludere che accada di nuovo questa volta.

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