L’entrata
in funzione del nuovo fondo salva Stati permanente, l’Esm, ed i progressi nelle
ratifiche del Patto di Bilancio; le proposte della Commissione europeo per realizzare
l’Unione bancaria e completare il mercato unico; la coraggiosa iniziativa di cooperazione
rafforzata per la Tobin Tax, cioè per una tassazione delle transizioni
finanziarie. Ci sono un sacco di ingredienti per sperare che il Consiglio
europeo del 18 e 19 sia una bella e franca discussione sulle prospettive
dell’Unione, con la Gran Bretagna di David Cameron a opporsi alla Tobin Tax e
ipotizzare scorpori di bilancio tra Ue ed Eurozona. Il tutto senza l’ansia di
decisioni sul contingente.
E,
invece, potete scommetterci che a Bruxelles la prossima settimana i leader
europei parleranno, soprattutto, di Grecia e Spagna: se versare ad Atene la
prossima tranche di aiuti scadenzati e se concederle la proroga di due anni che
chiede per completare il risanamento dei conti pubblici (dal 2014 al 2016); e
se sia meglio per Madrid sollecitare l’intervento europeo, ora disponibile, o
cercare di farcela da sola, a parte i 100 miliardi di euro già concessile per
salvare le banche.
Eppure,
l’Unione europea pareva uscita dall’estate a tutto turbo: la decisione della
Bce di acquistare senza limiti sul mercato titoli dei Paesi in difficoltà per
ridurre gli spread pareva di per sé sufficiente a raffreddare le tensioni: e,
poi, c’era stato il ‘mercoledì da leoni’, il 12 settembre, quando la Corte
suprema tedesca da Karlsruhe dava un via libera, seppur condizionato, a Esm e Patto
di Bilancio e l’Olanda decretava, alle urne, l’arretramento delle forze
xenofobe e anti-euro. Sempre quel giorno, a Strasburgo, il presidente della
Commissione Barroso rilancia la prospettiva federale, pronunciando, in
Parlamento, il discorso sullo stato dell’Unione. L’Ue ne usciva più forte e più
legittimata, democraticamente e giuridicamente.
Pareva
abbastanza per rendere obsoleta la proposta appena lanciata a Cernobbio dal
premier italiano Mario Monti e dal presidente del Consiglio europeo Herman Van
Rompuy: un vertice straordinario in Campidoglio, luogo simbolo
dell’integrazione, contro gli euro-scetticismi e i populismi che proliferano
nell’Unione. Anche se sarebbe illusorio
gridare allo scampato pericolo:
dalla Francia alla Grecia, dall’Ungheria all’Italia, nella stessa Germania, le
forze qualunquiste e anti-europeiste restano agguerrite.
Ma,
subito dopo quel giorno memorabile, invece di costruire baldanzosa sui propri
successi, l’Unione s’è di nuovo fermata, rimettendo in discussione punti che
parevano già acquisiti e restituendo fibrillazione ai mercati e nervosismo allo
spread. E, in Italia, c’è chi si mette d’impegno a screditare politica ed
europeismo: scandali come quelli che scoppiano a catena nella Regioni, scrive
il Wall Street Journal, “rischiano di
spingere gli elettori tra le braccia dei partiti populisti anti-euro”.
Parlando
dalla tribuna dell’Onu, all’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni
Unite, Monti, il 26 settembre, dava un giudizio drastico sulle difficoltà
dell’Unione: “Quello che stiamo vivendo non è un ricorrente squilibrio ciclico…
E’ la crisi peggiore e più grave dell’integrazione europea”. E, bocciando ogni
ipotesi isolazionista o euroscettica, affermava: “Ormai è chiaro che avere più
Europa sia un interesse globale”. Del resto, superare le difficoltà, osservava Monti,
è nel dna dell’Unione: “Altre crisi hanno minacciato di cacciare l’Europa
indietro, nel passato. E, ogni volta, gli europei hanno trovato modo di
riprendete il loro cammino”. Ormai, “Il mondo ha imparato quanto sia essenziale
un’Europa forte e credibile per affrontare le sfide globali dell’economia e
della sicurezza. E quanto sia importante l’area Euro nella ripresa
dell’economia mondiale. E l’Italia “continuerà a fare la sua parte” sul doppio
binario del rigore e della crescita.
Lo iato dei leader
Ma c’è
uno iato tra i discorsi da statisti dei leader europei, all’Onu o nei momenti
solenni, come quando il presidente francese François Hollande e la cancelliera
tedesca Angela Merkel celebravano i riti dell’amicizia franco-tedesca, anche
come motore dell’integrazione europea, e i comportamenti al tavolo del
negoziato. Per settimane, tra agosto e settembre, Monti, Hollande, la Merkel e,
ancora, i premier spagnolo Mariano Rajoy e greco Antonio Samaras si sono
incontrati in varie formazioni; e Van Rompuy, Barroso, il presidente
dell’Eurogruppo Jean-Claude Junckler, il presidente della Bce Mario Draghi e
pure la presidente dell’Fmi Christine Lagarde sono stati protagonisti di questa
fase di diplomazia economica.
Ma
quando è l’ora di decidere, la dinamica si rallenta, le trattative quasi s’impantanano.
E l’Unione ridà fiato ai suoi detrattori, spazio a chi le specula contro. In
questo semestre, i lavori del Consiglio sono gestititi da una presidenza
oggettivamente debole, Cipro, con un trittico di vertici cruciali il 18 e 19
ottobre, si farà il punto sul Patto per la Crescita deciso a fine giugno e sui
progressi verso l’Unione bancaria, ma il dibattito sarà in larga misura
dirottato dalle questioni contingenti, Spagna e Grecia; il 22 e 23 novembre si
dovrebbe definire il quadro finanziario Ue settennale -e già Londra ne anticipa
i dissensi-; e il 13 e 14 dicembre dovrebbero maturare le decisioni sull’Unione
bancaria.
Esm e Tobin Tax
La via
del primo Vertice è stata lastricata, negli ultimi giorni, da tensioni sociali
in Grecia e Spagna, ma pure in Francia, Italia e altrove: i cittadini europei
sollecitano con impazienza i loro leader perché li conducano fuori dalla crisi.
E, a rassicurarli, non bastano le novità istituzionali maturate nelle riunioni
di Eurogruppo ed Ecofin in settimana, a Lussemburgo.
L’Esm, cioè il nuovo
fondo salva Stati permanente, è una realtà: il meccanismo di stabilità europeo
è entrato in vigore, con la prima riunione del suo consiglio dei governatori,
presenti anche Draghi e la Lagarde. E’ “una tappa storica nella costruzione
dell’Unione monetaria”, afferma il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker: la zona euro “è ora dotata di
una porta antincendio permanente
ed efficace”. Il commissario all'economia Olli Rehn si dichiara "meno
pessimista oggi che a primavera" sull'uscita dalla crisi dell'Eurozona.
Se
il varo dell’Esm era ormai scontato, la brusca accelerazione sulla Tobin Tax è
relativamente sorprendente. Dopo l’iniziativa di Francia e Germania, che
avevano lanciato la conta per applicare della procedura di cooperazione rafforzata,
anche l’Italia e altri otto Stati hanno detto sì –ce ne volevano almeno nove-.
E’ un passaggio storico: mai finora s’è tentata una cooperazione rafforzata in
ambito fiscale. Gli 11 Governi invieranno congiuntamente una lettera
con cui solleciteranno l’Esecutivo comunitario ad agire in tempi rapidi: per
l’Italia, la firma sarà del ministro dell’Economia Vittorio Grilli.
Poi, si lavorerà sulla proposta della Commissione europea. Uno schema
prevedeva che si proceda con un’aliquota dello 0,1% sui valori azionari e
obbligazionari, e dello 0,01% sui derivati: sarebbero così arrivati nelle casse
comunitarie 57 miliardi di euro su scala Ue, cioè a 27 Paesi. Se saranno 11 o
più, il flusso di denaro sarà ridotto: il ‘fronte del sì’ comprende, per ora, Germania,
Francia, Italia, Spagna, Belgio, Austria, Portogallo, Grecia, Slovenia, Slovacchia,
Estonia. Fuori tutti gli altri, soprattutto la Gran Bretagna, da sempre la più
ostile alla tassa, e la Svezia.
Per l’Italia, la decisione è stata sofferta, perché l’applicazione
ristretta presenta rischi oggettivi: un pericolo è disincentivare i grandi
investitori finanziari internazionali; un altro è rendere più costosa la
vendita dei titoli italiani; un terzo costringere i consumatori a sopportare il
costo finale, che sarà loro immancabilmente scaricato dalle banche. Ma, su
questi timori, ha prevalso il desiderio d’allineare l’Italia sul fronte più
avanzato dell’integrazione europea. Anche se il tema Tobin Tax incresperà le
acque del Vertice, non facilitando di certo il dialogo con Londra.
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