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lunedì 29 ottobre 2012

Usa 2012: è Sandy, e non Mitt, l'uragano anti Obama

Scritto per L'Indro il 29/10/2012

E’ Sandy, e non Mitt, l’uragano che Barack Obama deve fronteggiare, a una settimana esatta
dall’Election Day, martedì 6 novembre. La perturbazione che minaccia la Costa Est degli Stati Uniti
è un test della capacità del presidente di fronteggiare un’emergenza: milioni d’americani senza luce;
centinaia di migliaia evacuati solo a New York; migliaia di voli cancellati; Wall Street chiusa per la
prima volta dagli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001; Washington e New York paralizzate
per prudenza, con scuole, parchi, chiese, porti fermi. E a tutti un invito: “State a casa”.

E’ Sandy la ‘sorpresa d’ottobre’ della campagna 2012?, il fatto imprevisto che scompagina rapporti
di forza e previsioni? E’ presto per dire se l’uragano giochi a favore dal presidente, che, assumendo
il ruolo del comandante in capo, s’acquartiera nello Studio Ovale e cerca di parare all’emergenza, o
del rivale repubblicano Mitt Romney, che sospende anch’egli i comizi.

I due contendenti, ormai, fanno campagna in un fazzoletto: solo negli Stati in bilico decisivi,
quasi sempre tra Ohio e Florida –Sandy permettendo-. I sondaggi indicano equilibrio e incertezza:
Obama, che pare avere arrestato l’emorragia di consensi seguita al primo dibattito in diretta tv, è
avanti in alcuni rilevamenti, Romney è avanti in altri; ma i divari sono sempre inferiori ai margini
d’errore dei test.

Il numero degli Stati incerti oscilla: per alcuni sono 11, per altri 9, per quelli più sicuri di sé, o che
amano prendere dei rischi, solo 7. Dopo il terzo e ultimo duello, lunedì 22 a Boca Raton in Florida,
i due contendenti hanno avuto un’attività frenetica: comizi; e soprattutto spot, quanti più le casse
delle campagne consentono di sfornarne. Sono in campo i candidati presidenti con le famiglie e i
loro vice, anche se Romney sembra avere messo un po’ in naftalina il suo ‘numero due’ Paul Ryan,
adesso che non ha più bisogno di sollecitare l’elettorato conservatore e religioso, ma deve piuttosto
esercitare un richiamo sugli indecisi di centro e, quindi, sui moderati. Evitando, nel contempo, un
rischio per lui letale: demotivare l’ala destra del partito repubblicano, che potrebbe decidere di
non andare a votare per quel mormone che copia il presidente nero in politica estera. Così come
Obama deve evitare che i delusi del suo primo mandato testimonino la loro insoddisfazione con
l’astensione.

Il calcolo di base dei Grandi Elettori resta quello del sito 270towin.com, che ne assegna 201
sicuri a Obama e 191 sicuri a Romney: il collegio ne conta 538, ne servono 270 per vincere.
Gli altri 146 sono quelli di New Hampshire (4) e Pennsylvania (20) nel New England; Virginia
(13), North Carolina (15) e Florida (29) nel Sud; Michigan (16), Wisconsin (10), Ohio (18)
e Iowa (6) nei Grandi Laghi e nel Mid-West; Nevada (6) e Colorado (9) lungo le Montagne
Rocciose. RealClearPolitics.com considera la Pennsylvania e il Michigan già scontati per Obama.
Politico.com assegna pure la North Carolina a Romney e il Nevada a Obama.

Se prendiamo per buoni i conteggi di politico.com, abbiamo Obama a 243 e Romney a 206. Nei
sette Stati che restano, Romney è in vantaggio in Florida e nel New Hampshire, mentre Obama
è avanti nel Wisconsin e nello Iowa. Ohio, Virginia e Colorado sono davvero ‘too close to call’,
troppo serrati per essere assegnati, anche solo orientativamente.

A Obama, fare man bassa nei Grandi Laghi e nel MidWest basterebbe per restare alla Casa Bianca.
Di qui, una conferma della legge non scritta, ma ineluttabile, per i candidati repubblicani: se
vogliono diventare presidenti, devono vincere l’Ohio; e Romney deve riuscire in un colpo doppio,
vincere l’Ohio e pure la Florida, l’altro Stato determinante di Usa 2012. sarà lì che la partita si
giocherà con maggiore intensità.

Quale che sia l’esito della corsa presidenziale, pare quasi scontato che il prossimo presidente
sarà un’ ‘anatra zoppa’, cioè non avrà dalla sua tutto il Congresso: la Camera, infatti, dovrebbe

restare repubblicana; e il Senato dovrebbe restare democratico. Nell’Election Day, gli americani
non eleggono solo il presidente, ma rinnovano tutta la Camera e un terzo del Senato, designano
decine di governatori, votano una miriade di assemblee statali e locali e si pronunciano su decine di
referendum statali e locali.

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