Cinque settimane all’Election Day, il 6 novembre; quattro
dibattiti televisivi, il primo mercoledì 3 ottobre; tre incognite –l’economia,
l’Europa e la ‘sorpresa d’ottobre’-; due candidati, Barack Obama e Mitt Romney;
e un favorito, il presidente uscente. La
mappa di 270towin, il sito che tiene costantemente aggiornata la conta dei
Grandi Elettori, ne dà a Obama 237 sicuri –gliene mancano 33 per essere certo
della conferma-, contro i 191 di Romney, fermo al palo dalle conventions. A settembre, gli Stati in bilico sono scesi
da 11 a 9: New Hampshire nel New England; Virginia, North Carolina e Florida
nel Sud; Ohio, Iowa e Wisconsin tra MidWest e Grandi Laghi; Nevada e Colorado
lungo le Montagne Rocciose; mentre Pennsylvania e Michigan sono ormai
democratici.
Il presidente è avanti nei sondaggi su scala nazionale e pure
negli Stati in bilico chiave, come Ohio (18 Grandi Elettori) e Florida (29):
vincere lì, gli basterebbe per garantirsi il successo finale -in realtà, gli
bastano la Florida e il piccolo New Hampshire, 4. I sondaggi più affidabili
danno a Obama un vantaggio tra i 5 e i 7 punti su scala nazionale,
abbondantemente superiore al margine d’errore; un giudizio che la Fox condivide,
nonostante l’emittente ‘all news’ del Gruppo Murdoch strizzi l’occhio allo
sfidante. Però, i due candidati sarebbero più vicini, testa a testa, sulle
ricette per rilanciare l’economia e creare posti di lavoro, che saranno il
piatto forte del loro primo dibattito televisivo, all’Università di Denver nel
Colorado.
Prima di andare in ritiro proprio in vista del dibattito
–ore di studio dei dossier e delle risposte migliori e pure della posa da
tenere davanti alle telecamere e dei gesti da fare-, Obama e Romney si sono
incrociati nel fine settimana facendo campagna in due degli Stati più
controversi, l’Ohio e la Virginia, mentre rilevamenti locali danno Obama in
vantaggio nettamente nel New Hampshire e pure davanti, ma solo d’un’incollatura, in North Carolina e in Nevada, dove un
successo repubblicano sarebbe più normale.
Così, il duello di Denver è già divenuta l’ ‘ultima
spiaggia’ del miliardario mormone, che, tra gaffes e dichiarazioni dei redditi
non propriamente esemplari, ha avuto proprio un brutto settembre. Si calcola
che almeno 60 milioni di telespettatori –un pubblico da ‘Super Bowl’, la finale
del campionato di football Usa- seguiranno il duello di 90’ in prima serata,
moderato da Jim Lehrer della Pbs, il servizio pubblico televisivo. A Romney, il
pareggio non basta: il candidato repubblicano deve andare all’attacco, segnare
e stare attento a non beccare reti in contropiede, né farsi autogol, come gli
accade abbastanza spesso. Chris Christie, governatore del New Jersey, repubblicano
rampante –segnatevi il suo nome, sull’agenda 2016-, assicura che “da giovedì
mattina tutto lo scenario della campagna elettorale sarà diverso”. Ma le frasi
di Christie sembrano più un atto di fede dovuto che il frutto maturo di una convinzione
profonda. Anche perché Obama, se non sarà troppo frenato, come alla convention,
ha una capacità dialettica superiore al rivale.
Romney, a settembre, non ha neppure goduto dell’ ‘effetto
Ryan’: la scelta come vice di Paul Ryan, deputato del Wisconsin, doveva
galvanizzare l’ala più conservatrice dell’elettorato potenzialmente repubblicano;
e, forse, così è stato. Ma l’aggressività ‘ultra-reaganiana’ del giovane
economista, 42 anni, non ha certo facilitato la ‘conquista del centro’ da parte
del ticket repubblicano, spaventando, anzi, moltissimi moderati. Tant’è vero
che, dopo la convention di Tampa a fine agosto,
sul vice è di colpo calata la sordina. Una netta maggioranza di
probabili elettori, poi, ritiene che Joe Biden, il vice di Obama, 69 anni, sia
più qualificato di Ryan per assumere la presidenza, in caso di decesso o
impossibilità del ‘titolare’.
Certo, le tre incognite hanno il loro peso, sull’Election
Day, e possono ancora modificare i rapporti di forza tra i candidati. Settimana
dopo settimana, l’andamento dell’economia e dell’occupazione viene controllato,
perché segnali di peggioramento della congiuntura potrebbero compromettere la
candidatura Obama e rilanciare quella Romney. E se poi l’Eurozona cincischiasse
ancora a tirarsi fuori dalla crisi e, anzi, ritornasse alle fibrillazioni
pre-estive, dopo un mese di settembre calmo e positivo, la propaganda
repubblicana avrebbe buon gioco a descrivere il presidente democratico come
colui che porta l’America “sulla strada dell’Europa”, come ha già detto Romney,
adesso che gli ultimi dati di crescita del Pil americano somigliano più a
quelli europei che a quelli cinesi. Quanto alla sorpresa d’ottobre, è un
classico di tutte le campagne presidenziali statunitensi: l’asso nella manica
del candidato in difficoltà per rovesciare le sorti della contesa. Solo che,
spesso, chi dice di averlo bara, perché poche volte c’è stata davvero –ma nel
2008 ci fu: lo scoppio della crisi finanziaria, che seppellì le speranze già
fievoli di John McCain-.
Una sorpresa sarebbe l’emergere di un fattore
internazionale, in una campagna finora dominata quasi esclusivamente
dall’economia. La scorsa settimana, in coincidenza con l’apertura
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, s’è visto qualche duello sul Medio
Oriente tra Obama e Romney, più filo-israeliano e più cauto sul dialogo in
Medio Oriente. Ma l’eco degli scambi di battute sulla volontà di pace dei
palestinesi e i presunti programmi nucleari militari iraniani s’è rapidamente
attutito, perché Obama e Romney hanno
entrambi scelto il ritiro pre-dibattito.
Che, poi, in realtà, quello che accade di qui al 6 Novembre
potrebbe pure risultare irrilevante, con o senza la sorpresa d’ottobre. Perché,
dal 6 settembre, e in circa la metà degli Stati, le urne sono già aperte: si
può votare per posta o in seggi speciali, messi a disposizione di chi non può
lasciare il lavoro il giorno fatidico o sarà altrove; e per posta possono pure
votare gli americani all’estero –una ‘constituency’ particolarmente numerosa
sono i militari-, le cui schede saranno poi aperte e scrutinate dopo la
chiusura dei seggi.
L’ ‘Early Voting’ interessò, nel 2008, circa il 30% dei
votanti e potrebbe, quest’anno, coinvolgere un terzo dei votanti, toccare il
35%. Nello Stato forse più combattuto di questa campagna, l’Ohio, i
repubblicani cercano, con manovre ostruzionistiche, di limitarne l’impatto,
perché sono soprattutto i giovani e gli anziani ad approfittare delle opportunità
di votare in anticipo: elettorati statisticamente acquisiti in maggioranza alla
causa democratica e al presidente Obama.
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