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mercoledì 31 ottobre 2012

Usa 2012: Sandy non è stata la 'sorpresa d'ottobre',

Scritto per L'Indro il 30/10/2012

Non sarà stata, e per fortuna, la ‘sorpresa d’ottobre, l’evento che scompagina programmi e previsioni, e che, ormai, non farà più in tempo ad arrivare. Ma un segno sull’Election Day, il 6 novembre, Sandy, l’uragano declassato a depressione tropicale che è transitato su Washington e su New York, lo lascerà sicuro, almeno a livello organizzativo. Nel Maryland e in altri Stati della Costa Est le operazioni di ‘early voting’, quelle cioè che consentono agli elettori di esprimere il proprio voto prima del giorno fissato, sono state sospese. E Craig Fugate, il direttore della Fema, la protezione civile degli Stati Uniti, ammette che la tempesta “avrà effetti anche a medio e a lungo termine e, quindi, anche sulla settimana prossima”, quando si va alle urne. Il che non vuol dire, come qualcuno vuole frettolosamente decretare, che l’Election Day sarà rinviato: la legge federale lo fissa al martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre. Piuttosto, vuol dire che, qua e là, le modalità di voto, ad esempio la dislocazione dei seggi, potrebbero doversi adeguare all’impatto di Sandy.

A livello elettorale, una vittima certa dell’uragano spintosi così a nord come raramente capita sono i sondaggi, di solito martellanti in questa fase della campagna: la Gallup per prima e poi altri istituti demoscopici più o meno famosi li hanno sospesi, perché la difficoltà di raggiungere al telefono i componenti dei campioni rendeva i rilevamenti monchi e inaffidabili. E questo, in particolare, in alcuni Stati cruciali di usa 2012, la Virginia, la Pennsylvania e pure il New Hampshire.

Sul piano politico, difficile valutare se Sandy sarà stata, a conti fatti, repubblicana o democratica oppure se sarà da ascrivere anch’essa fra gli elettori indecisi fino all’ultimo momento. A favore di Obama, c’è il fatto d’essere rimasto, da comandante in capo, sulla plancia della nave in preda ai marosi per tutta la durata dell’emergenza, in contatto con la protezione civile per tutta la notte della grande paura per la ‘tempesta perfetta’ –come al solito, in questi casi, le reminescenze cinematografiche si sprecano-. Obama s’è così meritato l’elogio del governatore repubblicano del New Jersey Chris Christie (“apprezzo la leadership del presidente”, ha detto). Un po’ velenoso con Romney, Christie, che già pensa alla nomination repubblicana nel 2016 e cui, quindi, la conferma del presidente fa più gioco della vittoria dello sfidante. E contro Romney ci può essere il fatto che non abbia chiamato tutti i governatori interessati, ma solo quelli repubblicani, e che abbia ordito una polemica, a tempesta in corso, contro la protezione civile.

Ma contro Obama, e quindi a favore di Romney, c’è la constatazione che Sandy, per quanto contenuta nei suoi danni dall’azione preventiva della Casa Bianca e delle Amministrazioni statali e municipali, lascia, comunque, una striscia, probabilmente inevitabile, di morte e di devastazionii: una trentina di vittime, miliardi di dollari di danni, oltre otto milioni di americani senza luce –a New York, un black out peggiore di quello del 2003-, tre centrali nucleari fermate, trasporti pubblici paralizzati, la borsa di New York chiusa - non accadeva dalla settimana dell’11 Settembre 2001 -. Obama, che aveva anticipato lunedì il rientro dalla Florida alla Casa Bianca, e aveva cancellato un evento nel Wisconsin, prolunga di un giorno lo stop alla campagna elettorale: non andrà nelle prossime ore nell’Ohio, stato chiave di questo voto. Romney, invece, riparte per la Florida.

Quella che Sandy non ferma, almeno nelle case dove la tv continua a essere accesa, è la guerra degli spot tra i due rivali: in Ohio, un tema caldo è l’industria dell’auto. Romney torna alla carica con un clip in cui accusa Obama di avere venduto la Chrysler agli italiani, che avrebbero poi deciso di trasferire la produzione della jeep in Cina.  In gioco c'é il consenso dei lavoratori di Toledo, la città che ospita la fabbrica dove si produce la Jeep.  Ma lo spot diventa un boomerang: le accuse si rivelano false, visto che la casa di Detroit, sin dal primo momento, chiarisce che si tratta di ampliare la produzione e non di trasferirne una parte  ("nessun bullone uscirà dagli Stati Uniti”). E il presidente replica con un contro-spot: chi voleva il fallimento dell'auto ‘made in usa’ era Romney, che bocciò il piano di aiuti elaborato dalla Casa Bianca.

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