Storie Vere. Eccone una che non avrei proprio mai voluto
raccontarvi: un incubo in cui sono entrato questa mattina alle 08.50 e da cui
non so se e quando uscirò. Avevo verificato le mail della notte e smaltito un
po’ di lavoro: poi, colazione, giornali, la solita routine. Dovendo partire in missione,
verifico che il portatile sia in ordine: apro la mail principale, che fino a
mezz’ora prima funzionava alla perfezione, e la trovo completamente vuota; non
c’è più un messaggio, nessuno delle migliaia e migliaia che da anni andavo
minuziosamente archiviando catalogati in file e sottofile; e non c’è più un
contatto dei miei… Al loro posto, improbabili indirizzi sconosciuti che, dai
prefissi telefonici e dai suffissi mail, mi paiono turchi e/o afghani…
Di colpo, mi assale l’ansia: sudo freddo: “Ma come –penso-,
queste cose succedono sempre e solo agli altri”. Cerco di capire, ma prima che
riesca a raccapezzarmi incomincio a ricevere telefonate, chat, sms: “Stai bene?”,
“Hai bisogno d’aiuto”?, “Posso fare qualcosa?”. Qualcuno è allarmato, qualcuno,
più scafato, è ironico, tutti sono superficialmente infastiditi. E’ successo
che qualche gaglioffo, lo stesso senza dubbio che è entrato nella mia mail e
s’è preso indirizzi e contenuti, ha mandato a tutti i miei contatti, ma proprio
a tutti, una mail in cui mi dichiaro vittima d’un furto a Edimburgo, dove,
senza soldi né documenti, ho bisogno di prendere un aereo e di rientrare in
Italia, E suggerisco di mandarmi lì una somma cash con una delle agenzie che
trasferiscono fondi istantaneamente.
Capisco che sono caduto dentro un incubo informatico; e non
di quelli alla Dylan Dog, che quando finisci l’episodio restano chiusi dentro
la copertina. Provo a capire le istruzioni di Google in merito –e mi rendo subito
conto che non è roba per me-, chiamo un tecnico di fiducia, mando da altre mail
messaggi circolari, rassicurando tutti quelli che so raggiungere (sto bene, non
ho bisogno di nulla), scusandomi per il fastidio, suggerendo operazioni
difensive (‘killeraggio’ della mail ‘infetta’, cambio della password)…
E, con il telefonino bollente, che è nuovo e manco riesco a
usarlo bene, parto a denunciare il fatto. La polizia postale, al telefono, dice
che posso farlo in qualsiasi commissariato, ma al commissariato di quartiere il
poliziotto in divisa mi suggerisce di andare proprio alla polizia postale. Vado
in Viale Trastevere, per sentirmi dire che occorrono le pezze d’appoggio
cartacee della frode informatica;. Torno a casa, me le procuro, ritorno in
viale Trastevere, faccio la denuncia… E’ pomeriggio inoltrato, rinuncio alla
missione ormai compromessa, cerco di fare l’inventario dei danni: la mente si
rifiuta di andare a scrutare i contenuti delle mail perdute, fatti miei e fatti
d’altri raccontati a me, che non dovrebbero interessare nessuno, materiale di
lavoro, anni di amicizie e/o documentazioni.
Non avverto più ansia, ma un senso di vuoto. Mi sento più
violato dentro di quando mi svaligiarono l’appartamento –anzi, ci provarono,
riuscendoci molto parzialmente-: c’è più me nella mia mail che in casa mia.
Quasi quasi telefono a un vecchio amico, per raccontargli ‘sta storiaccia: già,
ma non ho più il numero, perché la rubrica del cellulare è sincronizzata con
quella del computer e se n’è andata pure lei; allora, scrivo un post per il
blog de Il Fatto. E ora che sono arrivato all’ultima riga mi accorgo di non
sapere più a che mail spedirlo: al massimo, posso mandato ad Aarti Dahranjani…
Chissà se lo leggerete mai…
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