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giovedì 11 ottobre 2012

Storie Vere: il senso di vuoto della mail svuotata

Scritto per il blog de Il Fatto il 10/10/2012

Storie Vere. Eccone una che non avrei proprio mai voluto raccontarvi: un incubo in cui sono entrato questa mattina alle 08.50 e da cui non so se e quando uscirò. Avevo verificato le mail della notte e smaltito un po’ di lavoro: poi, colazione, giornali, la solita routine. Dovendo partire in missione, verifico che il portatile sia in ordine: apro la mail principale, che fino a mezz’ora prima funzionava alla perfezione, e la trovo completamente vuota; non c’è più un messaggio, nessuno delle migliaia e migliaia che da anni andavo minuziosamente archiviando catalogati in file e sottofile; e non c’è più un contatto dei miei… Al loro posto, improbabili indirizzi sconosciuti che, dai prefissi telefonici e dai suffissi mail, mi paiono turchi e/o afghani…

Di colpo, mi assale l’ansia: sudo freddo: “Ma come –penso-, queste cose succedono sempre e solo agli altri”. Cerco di capire, ma prima che riesca a raccapezzarmi incomincio a ricevere telefonate, chat, sms: “Stai bene?”, “Hai bisogno d’aiuto”?, “Posso fare qualcosa?”. Qualcuno è allarmato, qualcuno, più scafato, è ironico, tutti sono superficialmente infastiditi. E’ successo che qualche gaglioffo, lo stesso senza dubbio che è entrato nella mia mail e s’è preso indirizzi e contenuti, ha mandato a tutti i miei contatti, ma proprio a tutti, una mail in cui mi dichiaro vittima d’un furto a Edimburgo, dove, senza soldi né documenti, ho bisogno di prendere un aereo e di rientrare in Italia, E suggerisco di mandarmi lì una somma cash con una delle agenzie che trasferiscono fondi istantaneamente.

Capisco che sono caduto dentro un incubo informatico; e non di quelli alla Dylan Dog, che quando finisci l’episodio restano chiusi dentro la copertina. Provo a capire le istruzioni di Google in merito –e mi rendo subito conto che non è roba per me-, chiamo un tecnico di fiducia, mando da altre mail messaggi circolari, rassicurando tutti quelli che so raggiungere (sto bene, non ho bisogno di nulla), scusandomi per il fastidio, suggerendo operazioni difensive (‘killeraggio’ della mail ‘infetta’, cambio della password)…

E, con il telefonino bollente, che è nuovo e manco riesco a usarlo bene, parto a denunciare il fatto. La polizia postale, al telefono, dice che posso farlo in qualsiasi commissariato, ma al commissariato di quartiere il poliziotto in divisa mi suggerisce di andare proprio alla polizia postale. Vado in Viale Trastevere, per sentirmi dire che occorrono le pezze d’appoggio cartacee della frode informatica;. Torno a casa, me le procuro, ritorno in viale Trastevere, faccio la denuncia… E’ pomeriggio inoltrato, rinuncio alla missione ormai compromessa, cerco di fare l’inventario dei danni: la mente si rifiuta di andare a scrutare i contenuti delle mail perdute, fatti miei e fatti d’altri raccontati a me, che non dovrebbero interessare nessuno, materiale di lavoro, anni di amicizie e/o documentazioni.

Non avverto più ansia, ma un senso di vuoto. Mi sento più violato dentro di quando mi svaligiarono l’appartamento –anzi, ci provarono, riuscendoci molto parzialmente-: c’è più me nella mia mail che in casa mia. Quasi quasi telefono a un vecchio amico, per raccontargli ‘sta storiaccia: già, ma non ho più il numero, perché la rubrica del cellulare è sincronizzata con quella del computer e se n’è andata pure lei; allora, scrivo un post per il blog de Il Fatto. E ora che sono arrivato all’ultima riga mi accorgo di non sapere più a che mail spedirlo: al massimo, posso mandato ad Aarti Dahranjani… Chissà se lo leggerete mai…

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