Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/06/2013
Se è vero che la
strada dell’inferno è lastricata di buoni propositi (non mantenuti), quella
delle peggiori crisi internazionali è lastricata di risoluzioni dei Grandi (non
rispettate). Talora, da coloro cui erano indirizzati moniti e raccomandazioni;
più spesso dai Grandi stessi, che predicavano bene e razzolavano male.
Nelle sue varie successive
formule, G5, G7, G8, il Vertice dei Grandi ha sempre voluto mantenere un
carattere informale e non s’è mai dotato di strutture organizzative stabili,
capaci di dare un seguito alle conclusioni, una volta l’anno, dei leader. Un
problema che limita pure l’impatto del G20, che ha fin qui tradito le ambizioni
d’una governance globale.
Anche lo schema
del G8 s’è modificato nel tempo: da riunione leggera, le chiacchiere intorno al
caminetto degli esordi, a circo mediatico che coagulava nello stesso evento
riunioni parallele dei capi di Stato e di governo e dei ministri degli esteri e
delle finanze e richiamava migliaia di giornalisti; quindi, dopo l’esito
tragico di Genova 2001, un recupero del formato più snello, senza però ridurre
la mobilitazione mediatica.
Nato come forum
essenzialmente economico, il Vertice dei Grandi ha progressivamente allargato
alle crisi politiche internazionali la propria ‘competenza’. E ha
parallelamente ampliato i comunicati finali, fino a farne voluminosi breviari
su cui, però, poi nessuno diceva messa. Divenuto stabilmente G7 a Tokyo nel
1985 per impuntatura di Craxi e condiscendenza di Reagan, poi G8 con l’ingresso
della Russia nel Club - una volta dissoltasi l’Urss -, il Gruppo dei Grandi ha
preso coscienza che lunghi comunicati, a fronte di scarsi risultati, erano
un’ammissione d’impotenza e s’è sforzato di asciugare i testi, anche
derubricandoli al rango di ‘conclusioni della presidenza’ (che ruota ogni
anno).
Qualche esempio
di frasi al vento? Sulle crisi del Medio Oriente, ricorrenti, il G8 ha versato
fiumi di parole senza (quasi) mai ottenere uno straccio d’attenzione. Nel 1982,
Israele lanciò l’operazione Pace in Galilea, vera e propria invasione del Sud
del Libano, poco prima del Vertice dei Grandi, le cui parole non scalfirono la
determinazione israeliana. E, negli Anni Novanta, accadde lo stesso per qualche
tempo sui conflitti nella ex Jugoslavia, dove, però, la comunità internazionale
assunse poi un atteggiamento più attivo.
Una delle
leggende del G7 è la storia della parità dello yen, la moneta giapponese: tra
gli Anni Ottanta e Novanta, il Giappone arrivava sempre al Vertice sul banco
degli accusati, perché teneva la parità della sua moneta artificialmente bassa
rispetto al dollaro, favorendo così le sue esportazioni e rendendo più
difficili quelle dei concorrenti.
Bene.
Regolarmente, il Giappone riusciva quasi ad eclissarsi durante la riunione
–questo gli riesce pure ora-; incassava con un inchino, ma senza colpo ferire,
gli inviti dei partner ad apprezzare lo yen; e tirava avanti come se nulla
fosse. Il problema s’è risolto da solo, quando il Giappone, avvitatosi in una
crisi di più lustri, ha smesso di essere una minaccia economica e commerciale.
Però, quando ora vedete la Cina
fare orecchie da mercante sullo yuan ad analoghe pressioni, avete capito a
quale scuola orientale si stia ispirando.
Nel XXI Secolo, una costante del Vertice è stata la lotta al terrorismo, ma un terreno su cui s’è misurata l’impotenza, e pure la cialtroneria, dei Grandi è stata l’Africa. La storia comincia a Genova, prosegue in Canada l’anno dopo e va avanti a più riprese: al G8 vengono invitati capi di Stato africani, vengono presi impegni di aiuto cifrati e, poi, anno dopo ianno, si scopre che ben pochi li hanno rispettati. La polvere finisce sotto il tappeto del G20: lì, l’Africa c’è e non c’è più motivo di invitarla.
Nel XXI Secolo, una costante del Vertice è stata la lotta al terrorismo, ma un terreno su cui s’è misurata l’impotenza, e pure la cialtroneria, dei Grandi è stata l’Africa. La storia comincia a Genova, prosegue in Canada l’anno dopo e va avanti a più riprese: al G8 vengono invitati capi di Stato africani, vengono presi impegni di aiuto cifrati e, poi, anno dopo ianno, si scopre che ben pochi li hanno rispettati. La polvere finisce sotto il tappeto del G20: lì, l’Africa c’è e non c’è più motivo di invitarla.
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