Scritto per il blog de Il Fatto lo 06/06/2013
Ci
dev'essere qualcuno, a Palazzo Chigi e nel Governo, convinto che, sul lavoro, abbiamo
l’anello (del Vertice) al naso. Non credo che sia il premier Enrico Letta, che,
se non altro per essere brevemente stato parlamentare europeo, conosce la
terminologia europea; e non credo neppure che sia il ministro del lavoro Enrico
Giovannini, che, per fare parte di un governo politico, sembra proprio un
tecnico ammodo, preciso e preparato.
Chiunque
sia, fatto sta che, ogni volta che si parla di piani per l’occupazione, e si
aggiunge “specie quella dei giovani”, salta fuori ben strombazzato un vertice:
c’era in principio il Consiglio europeo di fine giugno, il 27 e 28, a
Bruxelles, che è proprio un Vertice, almeno ai sensi dell’eurocratese; poi s’è
aggiunto il vertice di Berlino del 3 luglio, che non è un vertice, ma una
riunione dei ministri del lavoro dei 27, per confrontare le migliori pratiche
in tema di lavoro giovanile; e, adesso, da ieri, abbiamo il vertice dei 4
Grandi Ue, a Roma, il 14 giugno, che non è manco questo un vero vertice, bensì un
incontro dei ministri delle finanze e del lavoro di Italia, Germania, Francia,
Spagna (che, poi, a volere essere pignoli, non sono neppure i 4 Grandi Ue,
perché c’è pur sempre la Gran Bretagna, fin quando non leva il disturbo).
Ora,
nessuno vuole meritarsi la medaglia del pedante, solo perché i Vertici, nell’Ue,
sono le riunioni dei capi di Stato e/o di governo. Ma nessuno vuole neppure
passare per fesso: indire le riunioni, e chiamarle pure tutte vertici, va
benissimo, se si producono risultati; ma se ci si limita a chiacchiere, allora
potremmo pure risparmiarci i soldi degli incontri, che manco sono vertici.
Prendiamo
l’appuntamento di Roma, aperto “da una colazione di lavoro con il premier
italiano”. L'appuntamento, "il primo di questo tipo", sottolinea un comunicato
di Palazzo Chigi, "vuole essere l'occasione per uno scambio d’opinioni e
per un coordinamento in vista dei prossimi impegni internazionali”, cioè,
appunto il Consiglio europeo del 27-28 giugno, “nella cui agenda
alta priorità è stata attribuita proprio al tema della crisi occupazionale”, l'evento
di Berlino del 3 luglio e –fosse mai che ce la
scordassimo- la riunione dei ministri del lavoro del G20 a Mosca di metà luglio.
Tradotto:
a metà giugno, non aspettatevi decisioni, perché non ce ne saranno né
potrebbero essercene. E, come vedremo, non aspettatevene troppe neppure subito dopo:
l’incontro di Berlino, ad esempio, pare solo un modo per ridurre la pressione
sui leader a fine giugno, dotando Il Vertice d’una valvola di sfogo.
Intendiamoci.
E’ positivo, pur se può apparire ovvio, che l’Italia, e tutta l’Unione,
riconoscano che “un rapido miglioramento del mercato del lavoro è condizione indispensabile per
rilanciare la crescita dell'economia europea". Ed è pure
positivo che l’Italia sia un crocevia della preparazione del Vertice di fine
giugno: a metà mese, è atteso a Roma il presidente della Commissione europea
José Manuel Durao Barroso, dopo la visita a fine maggio del presidente del
Consiglio europeo Herman van Rompuy.
Il Governo
Letta s’è impegnato a varare, prima del Vertice, un piano per il lavoro dei
giovani e cerca appoggi e sponde per un’accelerazione dell’azione comune
su crescita e occupazione. E, intanto, il premier e i suoi ministri impegnati
sul fronte europeo cercano di stare al passo degli sviluppi istituzionali di
cui Francia e Germania hanno parlato il 30 maggio per il rafforzamento della governance europea dell’Unione economica e monetaria.
L’attivismo
diplomatico non va però scambiato, né gabellato, per concretezza dei risultati,
che ancora non ci sono. Il NYT titola oggi sulla “guerra debole” dell’Ue alla
disoccupazione e scrive: “Gli schemi presentati in Italia e
Spagna la scorsa settimana per combattere il problema somigliano tristemente al ‘programma di
crescita’ di Hollande, che non è mai stato davvero di crescita”.
Per Giovannini,
la riunione a quattro "dimostra un cambiamento culturale in termini di
approccio" al problema: “Se pensiamo che il mercato del lavoro segua
sempre e soltanto il ciclo economico, dovremmo aspettarci prima una ripresa economica
e poi un effetto sull'occupazione. Il fatto che si riconosca che la
disoccupazione condiziona le scelte di famiglie, e quindi la ripresa economica,
significa che bisogna far sì che anche nella fase iniziale della ripresa, nella
seconda metà dell'anno, ci sia un'alta intensità di occupazione, cioè che la
stessa riduzione della disoccupazione giovanile stimoli la crescita".
Intellettualmente, è stimolante. Praticamente, significa aspettare, se va bene, perché accada qualcosa di concreto, “la seconda metà dell’anno”, che vuol dire da settembre in poi. Il che ci riconduce –sarà un caso- ad attendere per iniziative europee significative ed incisive le elezioni politiche tedesche del 22 settembre. E allora diciamolo che, aspettando allora, stiamo a ‘fare ammuina’: non c’è mica da vergognarsene, se non si può fare altrimenti.
Intellettualmente, è stimolante. Praticamente, significa aspettare, se va bene, perché accada qualcosa di concreto, “la seconda metà dell’anno”, che vuol dire da settembre in poi. Il che ci riconduce –sarà un caso- ad attendere per iniziative europee significative ed incisive le elezioni politiche tedesche del 22 settembre. E allora diciamolo che, aspettando allora, stiamo a ‘fare ammuina’: non c’è mica da vergognarsene, se non si può fare altrimenti.
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