Una raffica di rivelazioni al giorno: da 96 ore, il
Washington Post e The Guardian tengono sotto tiro Barack Obama e la sua
Amministrazione. Mentre i giganti dell’informatica, da Google a Facebook,
difendono la loro reputazione: “Mai sentito parlare di Prism”, il piano di
mega-intercettazioni la cui esistenza è stata rivelata venerdì; “Mai dato al
Governo accesso ai nostri server”. Ma il NYT li smentisce.
L’eco del Datagate e lo strascico delle polemiche hanno
guastato l’impatto mediatico del vertice senza pompa in California, a Palm
Spring, tra il presidente Usa e il nuovo leader cinese Xi Jinpeng. I media prima
l’hanno etichettato come “il vertice degli spioni” e poi l’hanno snobbato, nonostante
l’aura d’un G2 della governance mondiale, inseguendo i segreti di Prism e
anteponendogli, anche, una cruenta sparatoria a Santa Monica (sette i morti).
Del resto, per Obama il Vertice nasceva ormai guasto: come
rimproverare a Xi il cyber-spionaggio di Pechino ai danni dell’economia
americana, se poi l’intelligence statunitense può ‘legalmente’ intercettare
conversazioni, messaggi, mail e persino transazioni finanziarie ovunque nel
Mondo. L’ultima novità dei dioscuri mediatici di questo scandalo, che
chiaramente hanno le stesse fonti, è che Obama avrebbe ordinato in ottobre all'intelligence
ed alla Sicurezza Nazionale di redigere una lista di possibili bersagli di
cyber-attacchi Usa all'estero. Lo dice una direttiva presidenziale segreta
ottenuta da WP e Guardian. Nelle 18 pagine, si afferma che le cosiddette 'Offensive
Cyber Effects Operations' "possono offrire capacità non convenzionali ed uniche
e fare avanzare gli interessi Usa nel mondo".
Il documento indica che l’Amministrazione
"identificherà possibili obiettivi d’importanza nazionale in cui le cyber-operazioni
offensive garantiscano un buon equilibrio tra rischi e benefici rispetto ad
altri strumenti dell’arsenale nazionale". La direttiva non esclude di condurre
attacchi del genere pure sul territorio statunitense, ma solo con l'ordine del
presidente, tranne che in caso d’emergenza.
Per Obama, le rivelazioni sono scomode, nel bel mezzo
dell’incontro con Xi, dove molto s’è parlato dei cyber-attacchi cinesi
all’economia americana (ma pure Pechino si dice vittima di cyber-pirati). Anche
se i due leader , crtesciuti entrambi senza padre, vogliono più studiarsi che
farsi la guerra o trovare intese, al di là degli impegni retorici a porre le
basi per un "nuovo modello di cooperazione”, nella certezza che forti
relazioni tra Usa e Cina sono le fondamenta della stabilità del Pacifico e
mondiale. L’incontro è storico, se non altro perché il primo, e avrà un seguito
in Cina, dello stesso tenore informale, forse ancor prima del G20.
Oltre allo cyber-spionaggio, Obama mette in tavola i temi della
proprietà intellettuale e della difesa di regole eque sul commercio
internazionale. Loda l'ascesa pacifica della Cina a potenza mondiale; insiste
su "l'importanza della tutela dei diritti umani", che spesso
"sono la chiave per la prosperità"; ammette che tra Usa e Cina c’è
"una sana competizione economica" e "inevitabili aree di tensione",
facendo cenno alla Corea del Nord e ai cambiamenti climatici. E, tuttavia, il
presidente è convinto che una Cina prospera sia una buona notizia non solo per
i cinesi, "ma anche per gli americani e tutto il resto del mondo".
Xi evoca il vertice di 40 anni fa, quello sì storico, tra
Nixon e Mao che aprì il dialogo tra Usa e Cina. Ieri, un altro faccia a faccia di
un'ora e mezza per i due leader, cui Obama s’è presentato con un “Va tutto
benissimo” d’ordinanza. Poi Xi torna a Pechino, mentre l’americano rimane in
California per un giorno di golf. Se WP e Guardian non glielo rovinano.
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