Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/06/2013
Andatelo a dire al presidente degli Stati Uniti, che è un
presidente dimezzato perché lo scelgono solo la metà o poco più dei potenziali elettori. Le democrazie mature, quelle
almeno dove il voto non è obbligatorio pena sanzione, come il Belgio, sono ormai
evolute verso tassi di partecipazione bassi: assuefazione al rito della scheda,
intolleranza alla politica –o ai politici-, fatto sta che una metà decide per
tutti, che il 26% fa maggioranza assoluta. E
gli altri mica contestano: accettano.
Con qualche eccezione. A Los Angeles, a fine maggio, il sindaco è stato eletto dal 15% degli aventi diritto. E qualche mugugno c'è stato, sulla sua rappresentatività.
Con qualche eccezione. A Los Angeles, a fine maggio, il sindaco è stato eletto dal 15% degli aventi diritto. E qualche mugugno c'è stato, sulla sua rappresentatività.
Ormai, le code ai seggi, le affluenze alle urne alte paiono patrimonio
di Paesi che s’affacciano alla democrazia
uscendo dal tunnel di una dittatura o dall'inferno di una guerra.
Eppure, dentro dentro ci resta la
convinzione che le nostre elezioni siano più democratiche, più consapevoli, più
‘vere’, e che i nostri risultati siano più credibili, meno manipolati, più equi
di quelli di dove bisogna protrarre l’apertura dei seggi perché tutti possano
votare e mostrare il dito intinto
nell'inchiostro anti-frode.
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