Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/06/2013
“Parlerà
di meno quando si saprà in giro che lavora per una potenza straniera”: la
battuta, minacciosa, è di François Mitterrand. Chi doveva “parlare di meno” era
Edwy Plenel, giornalista, un passato trotzkista, all’epoca –si era nel 1985-
direttore di le Monde. E’ uno dei momenti più
bassi delle relazioni tra l’Eliseo e la stampa: la vicenda, che indusse
Mitterrand a ordinare intercettazioni illegali dei telefoni del maggiore
quotidiano transalpino, va collocata nel clima denso di sospetti e doppi giochi
della Guerra Fredda e riguarda un presunto coinvolgimento di Plenel nell’affaire
Farewell, uno dei maggiori successi dello spionaggio francese nell’Unione
Sovietica all’inizio degli Anni Ottanta. Tutta la storia, estremamente
intricata, finì in tribunale, oltre che sul grande schermo, dove venne
ulteriormente romanzata.
Lo
scontro tra Mitterrand e il direttore di le Monde viene subito in mente a
Richard Heuzé, corrispondente da Roma di le Figaro, come esempio del clima
talora teso tra l’Eliseo e la stampa. E se qualcuno in Italia chiama l’attuale
presidente della Repubblica ‘re Giorgio’, si può ricordare che la presidenza
Mitterrand è passata alla storia come la ‘presidenza imperiale’: il leader
socialista rimase –caso unico- alla guida dello Stato per 14 anni, un primato
che Napolitano può uguagliare. Invece, a Tobias Piller, corrispondente da Roma
della Frankfurter Allgemeine Zeitung, non viene lì per lì in mente nessun
episodio simile: “diversa etichetta”, quella dei presidenti tedeschi, ma anche
dei giornalisti, nel Paese dove il background e l’off the record sono per
eccellenza rispettati, senza frenare le polemiche e gli attacchi politici.
Quasi
tutti i presidenti francesi, a partire da George Pompidou, hanno portato in
tribunale la difesa della loro privacy dalla curiosità dei giornalisti: per
Pompidou e Mitterrand, si trattava, ad esempio, di tenere celati gli aspetti
più intimi della loro malattia; ma non solo. Ma vicende di famiglia e pure
scandali politici hanno turbato le relazioni con la stampa anche di Jacques
Chirac, Nicolas Sarkozy e François Hollande, che, da presidente, continua a
rispondere agli sms dei giornalisti, mettendosi talora nei guai (e mettendo
spesso in difficoltà i suoi portavoce).
Il
tono degli scontri presidente – giornalista non è sempre inappuntabile. Nel
marzo 2012, in
piena campagna elettorale, Sarkozy venne ripreso mentre apostrofava in malo
modo un giovane cronista durante una visita a Chalons-sur-Marne, a est di
Parigi: “Credi che me ne freghi qualcosa di quello che dici?, che cosa ti
aspetti che ti risponda?”, replicò il presidente infastidito da domande su
scontri tra forze dell’ordine e operai metallurgici. E aggiunse: “Che
coglione”. Resosi conto di avere perso la misura, Sarkozy provò a recuperare
con una pacca sulle spalle al giornalista, con una battuta ad uso del pubblico:
“E’ simpatico, è solo giovane”.
Certo,
ci sono Paesi dove le critiche al presidente, o al potere, possono costare ben
più cari d’una nota di biasimo pubblica. Lasciamo stare i regimi dittatoriali,
che non hanno mai amato la stampa, tanto meno quella libera. Ma nella Russia di
Vladimir Putin, che molti, con qualche forzatura, apparentano a una democrazia,
si contano a decine i giornalisti politicamente scomodi uccisi nell’ultimo
decennio. Lì, fare la domanda sbagliata può metterti addosso una bella ansia.
Ne sa qualcosa Natalia Melikova, che, nel 2008, durante una conferenza stampa
congiunta di Putin e Silvio Berlusconi a Porto Rotondo, interrogò il leader
russo sui suoi rapporti con una ex campionessa di ginnastica artistica divenuta
parlamentare e sull’intenzione di divorziare.
Putin
la fulmina con uno sguardo, Berlusconi non trova di meglio che intervenire
‘scherzosamente’ mimando una raffica di mitra. La Melikova ci resta di
sasso, scoppia a piangere, è spaventata. Quando risponde, il presidente dice
che nessuno deve mettere il naso nella sua vita privata. E, tanto per essere
espliciti, il portavoce del presidente chiarisce che il monito non riguarda la
cronista, ma “tutta la stampa”.
Certo,
a volte capita che ad essere presi non troppo metaforicamente ‘a pedate’ dai
giornalisti siano i presidenti: il 14 dicembre 2008, durante una conferenza
stampa, il presidente Usa George W. Bush, in visita di commiato a Baghdad,
schivò le scarpe lanciatagli da un giornalista iracheno, tale al Zaidi,
accompagnate dalla frase “Questo è il bacio d’addio del popolo iracheno, cane”.
E capita pure che il giornalista che critica il presidente venga coperto dagli insulti dei suoi colleghi. Paul Larrouturou, del Lab di Europe 1, voleva sapere da François Hollande perché non gli piace twitter. Il malcapitato cultore dei new media, che non era stato al minuetto delle domande e risposte convenute e convenzionali, venne mediaticamente linciato, illico et immediate, proprio su twitter, dai suoi colleghi: “Non è la domanda da farsi”, “Twitter non è il centro dell’universo”, “Interessa solo i giornalisti”. Quel giorno, l’hashtag Larrouturou batté l’hashtag Hollande.
E capita pure che il giornalista che critica il presidente venga coperto dagli insulti dei suoi colleghi. Paul Larrouturou, del Lab di Europe 1, voleva sapere da François Hollande perché non gli piace twitter. Il malcapitato cultore dei new media, che non era stato al minuetto delle domande e risposte convenute e convenzionali, venne mediaticamente linciato, illico et immediate, proprio su twitter, dai suoi colleghi: “Non è la domanda da farsi”, “Twitter non è il centro dell’universo”, “Interessa solo i giornalisti”. Quel giorno, l’hashtag Larrouturou batté l’hashtag Hollande.
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