P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

venerdì 7 giugno 2013

Dall'Imperatore al Re, quando il presidente se la prende con il giornalista

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/06/2013

“Parlerà di meno quando si saprà in giro che lavora per una potenza straniera”: la battuta, minacciosa, è di François Mitterrand. Chi doveva “parlare di meno” era Edwy Plenel, giornalista, un passato trotzkista, all’epoca –si era nel 1985- direttore di le Monde. E’ uno dei momenti più  bassi delle relazioni tra l’Eliseo e la stampa: la vicenda, che indusse Mitterrand a ordinare intercettazioni illegali dei telefoni del maggiore quotidiano transalpino, va collocata nel clima denso di sospetti e doppi giochi della Guerra Fredda e riguarda un presunto coinvolgimento di Plenel nell’affaire Farewell, uno dei maggiori successi dello spionaggio francese nell’Unione Sovietica all’inizio degli Anni Ottanta. Tutta la storia, estremamente intricata, finì in tribunale, oltre che sul grande schermo, dove venne ulteriormente romanzata.

Lo scontro tra Mitterrand e il direttore di le Monde viene subito in mente a Richard Heuzé, corrispondente da Roma di le Figaro, come esempio del clima talora teso tra l’Eliseo e la stampa. E se qualcuno in Italia chiama l’attuale presidente della Repubblica ‘re Giorgio’, si può ricordare che la presidenza Mitterrand è passata alla storia come la ‘presidenza imperiale’: il leader socialista rimase –caso unico- alla guida dello Stato per 14 anni, un primato che Napolitano può uguagliare. Invece, a Tobias Piller, corrispondente da Roma della Frankfurter Allgemeine Zeitung, non viene lì per lì in mente nessun episodio simile: “diversa etichetta”, quella dei presidenti tedeschi, ma anche dei giornalisti, nel Paese dove il background e l’off the record sono per eccellenza rispettati, senza frenare le polemiche e gli attacchi politici.

Quasi tutti i presidenti francesi, a partire da George Pompidou, hanno portato in tribunale la difesa della loro privacy dalla curiosità dei giornalisti: per Pompidou e Mitterrand, si trattava, ad esempio, di tenere celati gli aspetti più intimi della loro malattia; ma non solo. Ma vicende di famiglia e pure scandali politici hanno turbato le relazioni con la stampa anche di Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy e François Hollande, che, da presidente, continua a rispondere agli sms dei giornalisti, mettendosi talora nei guai (e mettendo spesso in difficoltà i suoi portavoce).

Il tono degli scontri presidente – giornalista non è sempre inappuntabile. Nel marzo 2012, in piena campagna elettorale, Sarkozy venne ripreso mentre apostrofava in malo modo un giovane cronista durante una visita a Chalons-sur-Marne, a est di Parigi: “Credi che me ne freghi qualcosa di quello che dici?, che cosa ti aspetti che ti risponda?”, replicò il presidente infastidito da domande su scontri tra forze dell’ordine e operai metallurgici. E aggiunse: “Che coglione”. Resosi conto di avere perso la misura, Sarkozy provò a recuperare con una pacca sulle spalle al giornalista, con una battuta ad uso del pubblico: “E’ simpatico, è solo giovane”.

Certo, ci sono Paesi dove le critiche al presidente, o al potere, possono costare ben più cari d’una nota di biasimo pubblica. Lasciamo stare i regimi dittatoriali, che non hanno mai amato la stampa, tanto meno quella libera. Ma nella Russia di Vladimir Putin, che molti, con qualche forzatura, apparentano a una democrazia, si contano a decine i giornalisti politicamente scomodi uccisi nell’ultimo decennio. Lì, fare la domanda sbagliata può metterti addosso una bella ansia. Ne sa qualcosa Natalia Melikova, che, nel 2008, durante una conferenza stampa congiunta di Putin e Silvio Berlusconi a Porto Rotondo, interrogò il leader russo sui suoi rapporti con una ex campionessa di ginnastica artistica divenuta parlamentare e sull’intenzione di divorziare.

Putin la fulmina con uno sguardo, Berlusconi non trova di meglio che intervenire ‘scherzosamente’ mimando una raffica di mitra. La Melikova ci resta di sasso, scoppia a piangere, è spaventata. Quando risponde, il presidente dice che nessuno deve mettere il naso nella sua vita privata. E, tanto per essere espliciti, il portavoce del presidente chiarisce che il monito non riguarda la cronista, ma “tutta la stampa”.

Certo, a volte capita che ad essere presi non troppo metaforicamente ‘a pedate’ dai giornalisti siano i presidenti: il 14 dicembre 2008, durante una conferenza stampa, il presidente Usa George W. Bush, in visita di commiato a Baghdad, schivò le scarpe lanciatagli da un giornalista iracheno, tale al Zaidi, accompagnate dalla frase “Questo è il bacio d’addio del popolo iracheno, cane”.

E capita pure che il giornalista che critica il presidente venga coperto dagli insulti dei suoi colleghi. Paul Larrouturou, del Lab di Europe 1, voleva sapere da François Hollande perché non gli piace twitter. Il malcapitato cultore dei new media, che non era stato al minuetto delle domande e risposte convenute e convenzionali, venne mediaticamente linciato, illico et immediate, proprio su twitter, dai suoi colleghi: “Non è la domanda da farsi”, “Twitter non è il centro dell’universo”, “Interessa solo i giornalisti”. Quel giorno, l’hashtag Larrouturou batté l’hashtag Hollande.

Nessun commento:

Posta un commento