Scritto per EurActiv il 14/06/2013
Cento giorni alle elezioni politiche tedesche, il 22
settembre. Ma solo i primi 20 saranno davvero duri, per i leader dell’Ue, che
dovranno fare mandare giù all'opinione pubblica la loro inazione contro la
crisi, tante parole e pochi fatti –e meno soldi- per la crescita e l’occupazione. Dopo, la
strada spiana, perché a luglio, e a maggior ragione ad agosto, nessuno
s’aspetta che l’Unione, che già di solito batte in testa, giri a mille. Poi, quando
l’estate finirà, a settembre, saremo ormai nella fase finale della campagna
elettorale e nessuno avrà nulla da ridire: ovvio stare fermi, “Mica vuoi creare
allarme in Germania adesso?”.
Così, in questi giorni, è tutto un ‘fare ammuina’:
la stagione dei Vertici che sta per aprirsi consente ai leader di dare l’impressione
di agire senza fare (quasi) nulla. E la cancelliera Angela Merkel, candidata a
succedere a se stessa per un terzo mandato, ricambia la comprensione dei
partner lasciando in qualche modo sperare che ‘dopo’ qualcosa cambierà.
Per intanto, scende in campo a difesa della Bce e in
polemica con la Bundesbank, in concomitanza con il procedimento della Corte costituzionale
di Karlsruhe sulla legittimità dello scudo antispread. La sentenza, sia chiaro,
non ci sarà prima dell’autunno, cioè non prima del voto. ”Noi crediamo – dice
la Merkel - che la Bce assicuri la stabilità dei prezzi nell'eurozona” e
difende la legittimità degli strumenti di salvataggio dell’euro, ricordando,
soprattutto, che ”anche la Germania avverte gli effetti della crisi: se in Europa
le cose non vanno bene, neanche in Germania possono andare bene”.
Ma dopo le elezioni tedesche, cambierà davvero
qualcosa? Certo, molto dipende dall'esito del voto. Gli interlocutori della
Merkel sembrano, al momento, scommettere, o credere, in una sua conferma. E
puntano, o sperano, in un cambio di coalizione a Berlino: infatti, se i
socialdemocratici dovessero sostituire i liberali nell'alleanza con Cdu/Csu, il
vino del rigore dei conservatori verrebbe allungato dall'acqua della crescita
dei progressisti. E Francia, Italia, Spagna troverebbero, nella loro questua
per una maggiore flessibilità europea, sponde interne alla coalizione tedesca.
Magari, è ancora presto per fare calcoli. Ma tutti i
leader dell’Ue paiono preoccupati di non irritare, oggi, la Merkel, a rischio di
inimicarsela per i prossimi quattro anni. Tutti, tranne Silvio Berlusconi, che
invita il premier italiano Enrico Letta a fare a braccio di ferro con la
cancelliera. Ma Silvio, con Angela, non ha nulla da perdere: peggio di così, le
cose, fra loro due, non potrebbero andare.
Comunque sarà, fatto sta
che, ogni volta che si parla ora di piani per l’occupazione, e si
aggiunge “specie quella dei giovani”, salta fuori ben strombazzato un vertice,
proprio o improprio che sia: c’era in origine il Consiglio europeo di fine
giugno, il 27 e 28 a Bruxelles, che è davvero un Vertice, almeno ai sensi
dell’eurocratese; poi, s’è aggiunto il
vertice di Berlino del 3 luglio, che non lo è, ma è solo un confronto fra i
ministri del lavoro dei 27 sulle migliori pratiche per il lavoro giovanile; e, ultimo
in ordine d’iniziativa, ma primo sul calendario, ecco il vertice dei 4 Grandi
Ue, il 14 giugno a Roma, che non è manco questo un vero vertice, bensì un incontro dei ministri
delle finanze e del lavoro di Italia, Germania, Francia, Spagna (che,
poi, a volere essere pignoli, non sono neppure i 4 Grandi Ue, perché c’è pur
sempre la Gran Bretagna, fin quando non leva il disturbo).
Ad infittire l’agenda dei
Vertici c’è poi il G8 nell’Ulster, sotto presidenza di turno britannica, il 17
e 18 giugno, il cui ordine del giorno è all’insegna di “crescita e prosperità”
con la trovata mediatica delle “3 T”, “taxes, transparency, trade”. Il G8
conferirà poi gran parte delle sue conclusioni al G20, che è in programma il 5
e 6 settembre a San Pietroburgo, sotto presidenza di turno russa.
Ora, nessuno vuole meritarsi
la medaglia del pedante, solo perché i Vertici, nell’Ue, sono le riunioni dei
capi di Stato e/o di governo. Ma nessuno vuole neppure farsi prendere in giro:
indire le riunioni, e chiamarle pure tutte vertici, va benissimo, se si
producono risultati; ma se ci si limita a chiacchiere,
allora potremmo pure risparmiarci gli incontri e l’inchiostro. ...
... L’attivismo diplomatico non va però
scambiato, né gabellato, per concretezza di risultati, che ancora non c’è. Il
New York Times titolava giorni fa sulla “guerra debole” dell’Ue alla
disoccupazione e scriveva: “Gli schemi presentati in Italia e Spagna per
combattere il problema somigliano tristemente al ‘programma di
crescita’ di Hollande, che
non è mai stato davvero di crescita”. E il Financial Times
denunciava, in un editoriale, “la letargia” del governo Letta. ...
... Il ministro del lavoro
Enrico Giovannini vede “un cambiamento culturale” nell'approccio alla lotta
contro la disoccupazione: “Se pensiamo che il mercato del lavoro segua sempre e
soltanto il ciclo economico, dovremmo aspettarci prima una ripresa economica e
poi un effetto sull'occupazione. Il fatto che si riconosca che la
disoccupazione condiziona le scelte di famiglie, e quindi la ripresa economica,
significa che bisogna far sì che anche nella fase iniziale della ripresa, nella
seconda metà dell’anno, ci sia un’alta intensità di occupazione, cioè che la
stessa riduzione della disoccupazione giovanile stimoli la crescita”.
Intellettualmente, è stimolante.
Praticamente, significa aspettare, se va bene, perché accada qualcosa di
concreto, “la seconda metà dell’anno”, che vuol dire da settembre in poi. Il
che ci riconduce –sarà un caso- ad attendere per iniziative europee
significative ed incisive le elezioni politiche tedesche del 22 settembre. E
allora diciamolo: non c’è mica da vergognarsene, se non si può fare altrimenti.
Nessun commento:
Posta un commento