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venerdì 14 giugno 2013

Gheddafi: tutti lo preferivano morto, piuttosto che vivo alla sbarra

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/06/2013

Meglio nella tomba che alla sbarra: lo scrivemmo su Il Fatto, sintetizzando il pensiero di molti, e il sollievo di alcuni, quel 20 ottobre 2011, quando arrivò, improvvisa, ma non inattesa, la notizia dell’uccisione di Muammar Gheddafi. Un’esecuzione barbara, nelle immagini e nell’improvvisato rituale, intorno a cui – c’era da scommetterci già allora - sarebbero cresciute e ancora cresceranno verità e leggende tutte accomunate da un filo rosso: non potere essere provate o smentite in modo incontrovertibile.

Accanto ad espressioni di pietas convenzionali, l’eliminazione di Gheddafi, fu accolta con commenti che esprimevano la convinzione che la fine della guerra era più vicina – un conflitto che doveva durare settimane e che si trascinava da mesi- e la sensazione d’una sorta di ‘missione compiuta’, anche se nessuno, nemmeno l’Onu, aveva affidato all’Alleanza atlantica il compito di scovare e uccidere il leader libico.

Il colonnello dittatore era stato prima nemico bandito e poi amico accettato e persino blandito di un Occidente distratto, in Libia come altrove, nella difesa dei diritti dell’uomo e dei valori della democrazia, perché petrolio e gas, lì, contavano di più. E il sollievo di alcuni nasceva dalla convinzione che un Gheddafi vivo sarebbe stato ingombrante per i nuovi leader libici, ma anche e forse soprattutto per i suoi nemici degli ultimi sei mesi.

Tutti, prima, erano stati suoi amici, almeno dopo lo sdoganamento, deciso nel 2003 dal duo Bush/Blair, dall’inferno dei protettori del terrorismo internazionale e l’ingresso nel limbo di quelli con cui fai affari cercando, però, di averci poco a che fare. Con una gradualità d’atteggiamenti: dal distacco americano alle strette di mano francesi; dal baratto britannico del ‘boia di Lockerbie’ con un po’ di commesse fino – la pagina peggiore - al bacio dell’anello d’un Berlusconi genuflesso.

Un Gheddafi preso vivo, da custodire prigioniero prima e da chiamare alla sbarra poi, per rendere conto dei crimini suoi e del suo regime, sarebbe stato un bell’imbarazzo. Ci sarebbe stato da litigare fra nuovi libici e loro alleati: i primi volevano processarlo in patria; i secondi fare valere il mandato di cattura della Corte dell’Aja, per crimini contro l’umanità.

E quali che fossero i giudici, il Colonnello avrebbe potuto denunciare la combutta con il suo regime di molti capi ribelli, oppure chiamare a rendere conto della loro amicizia nei suoi confronti i leader che lo avevano sdoganato, o quelli che gli avevano lasciato piantare la sua tenda nei loro giardini, come Berlusconi e Sarkozy, senza contare signorotti africani e del Terzo Mondo. Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss, tweettò quel giorno: “Un’esecuzione di Gheddafi sembra probabile e pure logica: un processo internazionale sarebbe stato troppo imbarazzante”.

Ma che l’esecuzione abbia avuto complicità e/o orchestrazioni extra-libiche non è mai stato provato e, probabilmente, mai lo sarà. Il 20 ottobre, Berlusconi, allora premier, se la cavò con uno sbrigativo e, soprattutto, fuori luogo, “Sic transit gloria mundi”, lui che di Gheddafi era stato un grande amico, scambi di visite, abbracci, genuflessioni e processioni di vergini ai corsi d’Islam del rais a Roma. Una battuta destinata a restare nell’antologia delle frasi celebri e infelici di Mr B, accanto a quella “non gli ho ancora telefonato per non disturbarlo” detta all’inizio dell’insurrezione.

Impaniata in un Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia molto impegnativo, la cui responsabilità politica ricadeva su tutti i partiti che lo ratificarono nel 2009 –maggioranza e Pd a favore, IdV, Udc e radicali contro-, l’Italia non riuscì, nel febbraio 2011, a esercitare un ruolo attivo nella prima confusa e drammatica fase di proteste e fermenti, violenze e repressione. E l’amicizia tra Cavaliere e Colonnello quasi la paralizzò, invece di renderla protagonista.

La Francia e la Gran Bretagna, invece, si mostrarono subito amici dell’insurrezione, mentre gli Stati Uniti, come avrebbero fatto per tutto il conflitto, si tenevano un po’ fuori, sporcandosi davvero le mani, militarmente, solo nelle fasi iniziali, con raffiche di incursioni aeree e gragnole di cruise dalle loro navi. A marzo, l’Italia mollò Gheddafi e riuscì a sottrarre alla Francia la leadership diplomatico-militare, consegnandola alla Nato. Ma, durante la guerra, l’Italia nicchiò sulla partecipazione ad azioni offensive, anche se, a conti fatti, delle 15.952 missioni da combattimento aeree condotte dalla Nato l’aeronautica italiana ne compì 1947, il 12%.

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