Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/06/2013
Sembra un film dell’orrore già visto: uno di quelli che ti
hanno così sconvolto che non vorresti rivederlo mai più. La svolta arriva dopo
oltre due anni di guerra civile in Siria; dopo che era parso che gli insorti
avessero partita vinta, mentre ora il regime è all’offensiva e riprende le
città perdute; dopo tiramolla diplomatici tra tentazioni d’intervento e timori
di cadere dalla padella nella brace, con tutti quei gruppi terroristici infiltrati
fra i ribelli.
Per la Casa Bianca, Bachar al Assad ha superato la ‘linea
rossa’ spesso evocata da Barack Obama: ha usato armi chimiche. Le prove sono
“numerose e riguardano diversi episodi”, dice Ben Rhodes, numero due a
Washington per la sicurezza nazionale. Il gas sarin avrebbe fatto tra 100 e 150
morti, in un conflitto che conta almeno 93 mila vittime. Le agenzie
d’intelligence americana ed europee concorderebbero in merito, secondo il NYT.
Vuol dire guerra al regime per cacciare al Assad, come in
Libia per cacciare Gheddafi? In realtà, l’ambiguità continua, appesa al filo
della riluttanza russa su un intervento militare in Siria. Obama annuncia un
non meglio precisato “sostegno militare” agli insorti, ma non ha ancora deciso
se istituire o meno, su aree di confine della Siria, una ‘no fly zone’, a
tutela dei rifugiati. Per attuarla senza rischi, ci vorrebbe prima una serie di
azioni ostili contro le difese anti-aeree siriane.
E viene in mente Colin Powell all’Onu il 7 marzo 2003:
doveva fornire al Consiglio di Sicurezza e al mondo intero, in diretta tv, le
prove che l’Iraq possedeva armi di distruzione di massa e costituiva una
minaccia. Quel giorno, Powell seppellì per sempre ogni sua credibilità
politica: convinse solo quelli che volevano farsi convincere, mentre un
applauso corale accolse l’interrogativo del ministro degli esteri francese
Dominique de Villepin, “Perché una guerra ora?”. Nemmeno tre settimane dopo, la
notte tra il 19 e il 20, l’infermo di fuoco si scatenava su Baghdad.
Non avverrà lo stesso su Damasco. Pur se, negli ultimi
giorni , i comportamenti di Barack Obama gli hanno meritato sull’Huffington
Post la definizione velenosa “George W. Obama”: la rinuncia alla chiusura del
carcere di Guantanamo, accettando di combattere il terrorismo violando in
diritti dell’uomo; l’avallo alle operazioni di ascolto e intercettazione delle
comunicazioni d’ogni tipo, affermando che la garanzia della sicurezza
presuppone la rinuncia a una fetta di privacy; e, adesso, il passo sulla Siria.
Già, perché adesso?, perché davvero al Assad ha usato le
armi chimiche?, o perché Obama deve scrollarsi di dosso la patina
dell’inazione? Bill Clinton, l’ex presidente, considera la linea
dell’immobilismo fin qui tenuta “una follia”. E il Congresso è inquieto.
La diplomazia internazionale si schiera lungo crinali che
sono quelli del 2003: la Germania vuole una riunione d’urgenza del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu; la Francia dice “non senza l’Onu”; l’Onu è scettica; la Gran Bretagna sta con
gli Usa; la Russia è contro. Obama consulta gli alleati, anche Letta; e la
Bonino domani andrà a Mosca. Il momento della verità? Forse lunedì al G8
nell’Ulster, quando Putin e Obama ne parleranno insieme.
Buongiorno, scrivo non per commentare la dotta analisi sulla Siria, ma il suo profilo. Vedo che manca l'esperienza di direttore all'Indro terminata da poco. E' un passato da dimenticare? Non per me che aspetto ancora di essere pagata per tre mesi di collaborazioni nel 2012. Cordiali saluti. Maria Grazia Coggiola, collega e ex collaboratrice dell'Indro da New Delhi.
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