Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/11/2010
A conti fatti, non sarà stato un 11 Settembre della diplomazia internazionale, come temeva il ministro degli esteri Franco Frattini : al massimo, una Beresina della diplomazia americana, anzi di qualche diplomatico abbastanza ingenuo da pensare che i suoi cablogrammi da XIX Secolo restassero segreti nella Società dell’Informazione del XXI Secolo. Dalla montagna di documenti che Wikileaks mette a disposizione della stampa mondiale, con cinque tramiti di lusso, il New York Times, the Guardian, Le Monde , El Pais, Der Spiegel, a fare da apripista. Man mano che i file vengono spulciati –sono oltre 280 mila, per quasi tre milioni di pagine-, si scopre che i diplomatici scrivono quello che tutti dicono, di Mr B come di Putin, di Sarko come della signora Merkel, dei ‘matti del mondo’ –magari un po’ criminali- come Gheddafi e Ahmadinejad, Mugabe e Kim Yong-il.
Di segreti, non ne saltano fuori (ma già si sapeva che nessuna di quelle carte era ‘top secret’, davvero succulenta) ; ma neppure una cosa che non si sapesse : l’insostenibile pesantezza dell’ovvio, come la storia che i vicini arabi e sunniti dell’Iran persiano e sciita sarebbero ben contenti di dare una lezione per interposta persona a quel regime ambizioso e invadente. A dire il vero, ci sono pure due storie che nessuno sapeva : peccato che siano due balle, peraltro analoghe, la Corea del Nord che ha un missile intercontinentale –ma dove ?, se, quando ci prova, a volte non riesce neppure a farli partire, i suoi missili da spaventare giusto giusto Seul e manco Tokyo) e l’Iran che ha un missile capace di raggiungere l’Europa.
Certo, dopo una grancassa di cento ore, il tema tiene sulla stampa internazionale. Ma c’è l’impressione di una sorta di sospiro di sollievo collettivo: «Uff !, tutto qui ? ». Tirato il quale, tornano i sudori freddi : perchè, se questi danno spesso l’impressione di essere ‘prove di stile’ di diplomatici con la vocazione del giornalista, ci resta l’ansia di che cosa ci sarà mai scritto nei documenti ‘top secret’ che non sono –ancora ?- saltati fuori. Wikileaks rivela una sua ‘strategia della tensione’ mediatico-diplomatica: nei prossimi mesi, pubblicherà, un po’ alla volta, sul suo sito dedicato al Cablegate, altri documenti. E un giornale belga, Le Soir, calcola che ci vorranno oltre 1000 giorni, cioè tre anni, per spulciare a fondo quelli già tirati fuori.
Senza dubbio, la pubblicazione dei documenti avrà conseguenze: non tutti i leader colpiti dalle rivelazioni sceglieranno di farci una risata sopra, come fa Berlusconi, nonostante le bizzarrie dei calendari internazionali lo portino ieri e oggi in Libia e poi giovedi’ a Soci in Russia, lui che nella slavina di Wikileals ci resta soprattutto per le amicizie particolari con Putin e Gheddafi. Washington ha scuse da chiedere; chiarimenti da dare, con il ‘leit motiv’ che quello che scrivono i diplomatici non è la linea dell’Amministrazione, ma un contributo alla sua definizione; spiegazioni da fornire, per esempio per lo spionaggio ai danni di Ban Ki-moon e degli ambasciatori degli altri Paesi con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Gli Stati Uniti ne escono oggettivamente indeboliti o, comunque, imbarazzati: per auqlche tempo , Hillary Clinton e i suoi collaboratori dovranno muoversi con cautela.
The Guardian parla di crisi diplomatica globale. Le Monde spiega la scelta di pubblicare i documenti di Wikileaks nonsotante gli appelli. Quelli rimasti fuori dal giro vero, un po’ rosicano : Le Figaro mette online un sondaggio : « Azione legittima? », chiede. Una maggioranza dice no, ma è risicata. Il WSJ si pone lo stesso dilemma a freddo. Per il WP, «i documenti mostrano quanto la diplomazia è intricata». Newsweek parla di «fine della trasparenza»: « La prima vittima è proprio cio’ per cui Assange dice di battersi », perchè d’ora in poi, è probabile, i cablo, se ancora si faranno, saranno meno schietti e più involuti.
Lui Assange, che Frattini accusa di volere «distruggere il mondo», sostiene che Obama è contro la libertà d’informazione, perchè la Casa Bianca insiste: «Un’operazione pericolosa». La Clinton fa una difesa d’ufficio della diplomazia statunitense, parla di « attacco alla comunità internazionale » e annuncia « contromisure ». E mentre in Italia –ma perchè mai?- la magistratura apre un fascicolo, emergono retroscena della fuga di notizie.
Si punta di nuovo su Bradley Manning, il militare di 22 anni arrestato in luglio dopo la diffusione di materiale sull’Iraq. A tradirlo, un altro hacker, Adrian Lamo, cui Manning avrebbe detto: "Alla Clinton ed ai diplomatici verrà un infarto quando troveranno tutte le informazioni riservate sulla politica estera disponibili al pubblico". Ma è davvero lui l’unica talpa di tutti i colpi di Wikileaks e di Assange?
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