Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/11/2010
Der Spiegel solleva un lembo del velo di mistero che, da mercoledì, copre l’attesa della diffusione di milioni di documenti diplomatici statunitensi sul sito Wikileaks. Il settimanale tedesco, che è uno dei grandi media che hanno avuto accesso preventivo ai cosiddetti ‘Embassy Files’, intende mettere online il suo ‘malloppo’ alle 22.30 di oggi, quando sarà pronto il numero in edicola il lunedì. Ma già ieri Der Spiegel ha fornito qualche informazione quantitativa, pubblicando ‘domande e risposte’ sui documenti fornitigli dal sito di Julian Aassange, e ha provocato qualche iniziale delusione: sono pochi i documenti ‘segreti’ (e nessuno è ‘top secret’) e sono percentualmente pochi quelli che riguardano l’Europa.
L’intero pacchetto comprende 251.287 cablogrammi e 8000 direttive emanate dal Dipartimento di Stato –numeri bassi rispetto a quelli annunciati, ma bisogna vedere quante pagine ha mediamente ogni file-: il più vecchio risale al 1966, ma la stragrande maggioranza sono posteriori al 2004 e 9005 si riferiscono ai primi due mesi del 2010,. Nessun dei documenti è classificato ‘Top Secret’: ve ne sono di Secret, relativamente pochi, appena 15.652, il 6% circa, mentre oltre la metà non sono per nulla classificati e oltre il 40% sono ‘confidenziali’. Wikileaks li ha ‘pescati’ dalla rete SiprNet (Secret Internet Protocol Router Network), cui hanno accesso 2,5 milioni di dipendenti pubblici dell’Amministrazione statunitense –trovare, dunque, la ‘talpa’ sarà un lavoraccio-.
Il settimanale tedesco fornisce anche una distribuzione geografica della provenienza dei documenti: solo il 5% riguarderebbero l’Europa,mentre la gran parte si riferirebbero a Medio Oriente e Asia –e, del resto, il Dipartimento di Stato sta facendo un’intensa azione di ‘controllo dei danni’ verso Israele e pure verso Cina e India, Aghanistan e Pakistan, Arabia Saudita ed Iraq e i Paesi del Golfo, oltre che verso praticamente tutti i Paesi Nato, la Russia e l’Australia, da dove viene Assange-.
Mentre i media di tutto il mondo sono in attesa della pubblicazione degli ‘Embassy Files’ e a caccia di indiscrezioni, le informazioni di Der Spiegel trovano qualche conferma Da Mike Allen, corrispondente dalla Casa Bianca del sito Politico. Allen cita su Twitter fonti dell’Amministrazione. Un sito ‘non ufficiale’ di Wikileaks, WL Central, sintetizza tutte le informazioni finora disponibili, senza però avallarle.
Le ore trascorse, ormai un centinaio, dall’annuncio della gragnuola di rivelazioni in arrivo, mercoledì, alla loro effettiva pubblicazione sono state freneticamente utilizzate dalla diplomazia (quella Usa, in primo luogo) per cercare di ridurre questa deflagrazione potenzialmente devastante ad una esplosione controllata. E con il passare del tempo si addensa il mistero sulla diffusione (ritardata?) dei segreti: perché non escono?, che cosa sta realmente accadendo in queste ore. C’è l’ipotesi che operazioni di intelligence in corso siano state ‘chiuse’ in tutta fretta, per mettere al sicuro gli agenti sotto copertura.
Di certo, si sa che i giornali cui Wikileaks ha dato in anticipo i suoi files, o almeno alcuni di essi, hanno informato i loro governi, se non altro per ricavarne reazioni e commenti. Lo ha fatto, è certo, per sua ammissione, il New York Times con la Casa Bianca; lo ha fatto il Guardian con il governo di Londra, che ha del resto espressamente chiesto agli editori di informarlo se intendono pubblicare documenti diplomatici dal contenuto delicato. Il ‘Defence Advisory’ non implica, tuttavia, l’avvio di procedure per bloccare la pubblicazione: vuole solo sensibilizzare i media a non compromettere la sicurezza delle operazioni militari britanniche. Ed è più che probabile che contatti con i governi abbiano avuto pure le Monde, El Pais e der Spiegel.
Ma perché passano i giorni ed i documenti non escono, a parte qualche indiscrezione sui contenuti, rarefattasi ieri, spesso così generica da non essere smentibile, ma, nel contempo, da essere poco gustosa? Si possono avanzare motivazioni banali, più o meno plausibili, come la necessità di tempo per esaminare la massa delle informazioni, oppure il fatto che gli Stati Uniti vivono il loro lungo week-end del Ringraziamento e anche la stampa è sonnolenta (ma la domenica è il giorno migliore, dal punto di vista della diffusione dei media, per piazzare uno scoop).
Di fatto, l’Amministrazione Obama ha avuto quattro giorni per preparare i governi amici e alleati all’impatto della corrispondenza (poco) diplomatica che li riguarda. Nelle prossime ore, la Cnn diffonderà un’intervista al capo di Stato maggiore statunitense, l’ammiraglio Michael Mullen, che batte sul tasto, caro ai militari, della “estrema pericolosità” dei comportamenti di Wikileaks, specie per la sicurezza dei soldati al fronte, e lancia un appello perché i documenti non siano diffusi. Ma è troppo tardi, perché l’invito sortisca effetto. Tanto più che l’argomento della sicurezza si applicava più alle rivelazioni sull’Iraq e l’Afghanistan che agli ‘Embassy Files’, che possono mettere al più a repentaglio la reputazione di qualche diplomatico e di qualche sua ‘gola profonda’.
Se decine di governi di tutto il mondo si stanno preparando, in questo week-end di dubbi e di ansie, alle rivelazioni che stanno per uscire, nessuno ha messo le mani avanti in modo così vistoso come il governo italiano, che ha trasformato lo ‘scoop’ di Wikileaks in un bailamme politico interno, sollevando un polverone di sospetti e interrogativi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento