Il titolo non suona bene: “Iniziativa per l’adozione di un
Foia in Italia”. E che è ‘sto Foia? Però, non lasciamo che una sigla ci fermi:
le intenzioni sono ottime e l’obiettivo è giusto. Il Foia è il ‘Freedom of
Information Act’, la legge che negli Stati Uniti garantisce la libertà
d’accesso a documenti ed atti della Pubblica Amministrazione. Riunite a Roma
presso la sede della Fnsi in occasione dell’autoproclamata Giornata della
Trasparenza, vecchie bandiere dell’informazione e del sindacato dei
giornalisti, magari sgualcite, ma non ammainate, ma anche molti giovani di
Università e Scuole, esperti, tecnici, archivisti, costituzionalisti, docenti,
rappresentanti di enti edorganizzazioni che condividono l’impegno, chiedono a
Governo e Parlamento di introdurre nella legislazione italiana il diritto alla
trasparenza e all’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione da parte di
chiunque, indipendentemente dai motivi e dalle intenzioni per cui chiede di
averne conoscenza.
Il progetto, che per essere attuata richiede tempi brevi,
prevede che i principi di base della norma siano inseriti come elementi
fondamentali dell’Agenda digitale che il Governo Monti s’appresta a varare -
doveva essere cosa fatta prima dell’estate, dovrebbe essere passo imminente -:
bisogna modificare la legge 241/90 e renderla conforme al diritto europeo,
oltre che aderente al Foia Usa, togliendo i paletti che attualmente limitano e
spesso vanificano il diritto di accesso –molti in merito gli episodi frustranti
raccontati nella Giornata della Trasparenza-.
Naturalmente, il dibattito resta aperto, sulle modalità e le
formulazioni più opportune e più efficaci per varare il Foia italiano, come lo
chiamiamo per convenzione, e non per rassegnazione, in attesa che qualche mente
brillante tiri fuori un titolo e un acronimo italiano e accattivante. Ma
Governo e Parlamento dovrebbero raccogliere subito la proposta: un modo a costo
zero per allineare l’Italia con i suoi partner migliori e per ridurre quel
‘gap’ di trasparenza che fa spesso velo e freno a chi vuole investire nel
nostro Paese, non solo a chi deve o vuole farci informazione.
Intendiamoci! Non è che una norma, per quanto fatta bene,
risolva tutti i problemi. In primo luogo, non bisogna confondere accessibilità
e trasparenza e farne sinonimi: ci sono documenti talmente criptici, per come
sono ideati, scritti, organizzati, archiviati, che renderli accessibili non
basta certo a capirli. Uno può pensare: “Burocratici, tecnici, politici, quelli
sono specialisti a tenerci al buio”: un modo per tutelare il proprio potere (e,
magari, coprire qualche porcheria).
Vero. Ma i giornalisti non sono esenti da responsabilità. E
qui veniamo al secondo luogo. Ci sono pezzi (e molti) scritti per le fonti, non
per il pubblico: zeppi di riferimenti per addetti ai lavori, senza contesto,
più messaggi in codice a chi sa perché intenda che informazione per chi non sa.
E ci sono pezzi (e molti) approssimativi nei dati -citazioni, circostanze,
numeri-, magari pure perché quei dati sono difficilmente accessibili.
Complimenti per il suo articolo.
RispondiEliminaMi permetto di aggiungere un contributo per dimostrare come il problema della trasparenza e della comprensibilità degli atti sia una questione di volontà ma anche di capacità di diverso approccio al concetto stesso di P.A.
Questo che si vede in questo link http://issuu.com/bastiano/docs/esempio_delibera_trasparente_copyright_bastiano è un esempio di come si può rendere comprensibile anche ai non addetti l'atto principale degli enti locali: la delibera.
Di come possa essere rappresentata in poche pagine (nel concetto del web) anzichè scansioni di faldoni di borbonica ridondanza e, soprattutto, della sua incidenza delle singole spese nel bilancio dell'ente.
Giuliano Bastianello