Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/09/2012
Le tette di Kate, che non offendono nessuno, e che da noi di certo non ledono più il buon vecchio ‘comune senso del pudore’, mobilitano i tribunali dell’Europa che s’asserisce paladina della libertà d’espressione e nemica della censura: piovono sentenze che vietano e ingiungono. Invece, la barba del Profeta, che - anche se noi facciamo fatica a capirlo – offende, se tirata, centinaia di milioni di musulmani nel mondo, o almeno una fetta di essi cospicua e, quando va bene, vociante, induce i governi dell’Europa che vuole lottare contro il terrorismo anche con il dialogo a proibire qui da noi proteste annunciate pacifiche, oltre che a chiudere nei Paesi più caldi –e lì è misura di prudenza comprensibile- ambasciate e scuole potenziali bersagli nei ‘giorni dell’ira’.
Per una volta, e magari sarà l’unica e ultima, oppure no, c’è da condividere l’interrogativo dei Fratelli Musulmani d’Egitto che si chiedono, e ci chiedono, il perché di due pesi e due misure, ammesso e non concesso che le tette di Kate e la barba del Profeta possano mai stare sullo stesso piano. Prima di andare avanti, però, mettiamo in chiaro che un conto sono le rimostranze, portate avanti in ambito legale, della Corte britannica ed un altro conto le uccisioni e le violenze delle proteste integraliste nei loro eccessi: legittime le prime, inaccettabili le seconde.
Ora, i Fratelli Musulmani chiedono che la Francia fermi le vignette su Maometto come ha fermato le foto di Kate. Io, in realtà, rovescerei l’interrogativo: perché la Francia, che non ferma - giustamente, a mio avviso - le vignette su Maometto, deve fermare le foto di Kate? Se il faro è quello della libertà d’espressione, la luce del faro deve girare a 360 gradi; e non deve spegnersi quando c’è da illuminare il diritto dei musulmani a manifestare pacificamente, come non si spegne quando cattolici fondamentalisti contestano spettacoli da loro ritenuti blasfemi.
Dice: e il diritto alla privacy di Kate? A parte il fatto che la curiosità per le foto è direttamente proporzionale al clamore suscitato intorno alla loro pubblicazione, ché altrimenti pochi se ne sarebbero accorti, i ricchi e famosi del XXI Secolo, che si nutrono dell’attenzione dei media, hanno, a mio avviso, scarso margine per reclamarlo a loro tutela. Anche se dietro ci fosse, come suggerisce parte della stampa britannica, un complotto editoriale berlusconiano contro la famiglia reale.
La censura e il divieto non possono essere una risposta a chi ci chiede di limitare la nostra libertà d’espressione. Ma il limitare preventivamente la libertà d’espressione altrui è già, da parte nostra, un cedimento ai violenti ed ai terroristi che fra di essi possono cercare d’intrufolarsi e annidarsi. Ci siamo già passati: Guantanamo, le renditions, Abu Ghraib lo furono e non abbiamo ancora finito di vergognarcene. Siamo mica pronti a ricominciare? No, né per le tette di Kate, né per la barba del Profeta.
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