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martedì 11 settembre 2012

Usa 2012: la svolta, quando non l'aspetti; e Obama va

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano l'11/09/2012

Ci sono giorni che non ti aspetti che succeda nulla e che, la mattina dopo, quando apri il giornale, il tuo e pure gli altri, hai proprio l’impressione che non sia davvero successo nulla. E, invece, c’è stata la svolta: è arrivata quando nessuno la prevedeva e  senza che nessuno o quasi la percepisse. A parte, ovviamente, twitter e le agenzie, che sono i sensori dell’informazione.
E’ accaduto per Usa 2012: ieri, pareva solo la vigilia dell’11 Settembre, cioè dell’anniversario degli attacchi all’America del 2011, le Torri Gemelle, il Pentagono, il volo UA93 in Pennsylvania. E, invece, è stato il giorno che la corsa alla presidenza degli Stati Uniti ha preso una direzione inequivocabile e, forse, irreversibile: quando la gara pareva in equilibrio, con  vantaggio al presidente sullo sfidante, ecco Obama prendere il largo nei sondaggi, nei finanziamenti, persino –per quel che conta- negli amici su facebook (un abisso, lì, il divario: 28,5 milioni di fans contro 6,6). E Romney, un po’ smarrito, cambia per l’ennesima volta rotta.
Eppure, la campagna pareva potersi prendersi una pausa, dopo le conventions, finite in parità 1 a 1 e sostanzialmente inutili: aveva segnato Clint Eastwood per i repubblicani, e pareggiato Bill Clinton per i democratici, due azioni personali spettacolari. Vicini al gol erano andati Paul Ryan, che cercava il rigore, ma aveva simulato in area e s’era fatto ammonire, e Michelle Obama. Invece, i due capitani, i campioni più attesi, Mitt Romney e Barack Obama, si erano tenuti lontani dalla porta: mai un tiro, attenti più a non perdere la palla che ad andare in gol. E, se nessuno si aspettava di più da Romney, il discorso di Obama, francamente, aveva deluso, tutto fatto con il freno a mano delle promesse e della visione tirato.
E anche le notizie che avevano accompagnato le ultime battute delle ‘feste di partito’ parevano non modificare gli equilibri, perché di segni contrastanti. I dati sulla disoccupazione di fine agosto (8,1% i senza lavoro, con la creazione di 96mila posti di lavoro nel mese) deludevano gli analisti e non erano, quindi, favorevoli all’Amministrazione democratica, mentre sale la pressione per misure di sostegno all’economia da parte della Fed. Però, i dati sulla raccolta di fondi per la campagna segnalavano che, proprio ad agosto, dopo essere stato sotto il rivale negli ultimi mesi, Obama sopravanzava Romney, nonostante l’eco di Tampa: 114 milioni di dollari il ricavato da 317mila donatori, con 250 dollari in media l’uno, contro 111 milioni per Romney, con meno donatori e una media più alta.
Poi, arrivano i sondaggi, quelli buoni, i più attendibili. E si vede che Obama allunga su Romney: conquista vantaggi che oscillano tra i 4 e i 6 punti su scala nazionale, ben al di là dei margini di errore statistico; e, soprattutto, rende ancora più netto il suo margine negli Stati incerti. La mappa costantemente aggiornata del sito 270t0win assegna a Obama 201 Grandi Elettori sicuri –ma per alcuni sono già 225-, a Romney 191 (270 è il numero magico, quello che garantisce la vittoria nelle presidenziali). I Grandi Elettori in bilico, secondo 270towin, sono 146, in 11 Stati: da Nord a Sud e da Est a Ovest, New Hampshire, Pennsylvania, Michigan, Ohio, Iowa, Wisconsin, Virginia, North Carolina, Florida, Colorado e Nevada. Le battaglie cruciali, ancora una volta, appaiono quelle dell’Ohio e della Florida. E lì Obama pare allungare decisamente.
Nell’anniversario dell’11 Settembre, il presidente abbandona, per un momento, i sentieri dell’economia e cavalca il tema della sicurezza, che, contrariamente alle previsioni di inizio mandato, è diventato un cavallo di battaglia democratico, specie dopo il ritiro dall’Iraq e l’eliminazione di Osama bin Laden. Gli Stati Uniti, dice Obama, sono oggi più forti, sicuri e rispettati di allora, e pure di quattro anni or sono – quel che conta, per lui -; e conferma il piano di ritiro dall’Afghanistan entro il 2014. “Ci siamo rifiutati –afferma- di vivere nella paura”, ma anche in un clima di guerra continuo.
Mentre Romney invita a non badare ai sondaggi e fa retromarcia sulla riforma sanitaria –dopo avere detto che l’avrebbe abolita come primo atto della sua presidenza,  adesso dice di volerla emendare-e cerca conforto nel dio degli evangelici; e la moglie Ann si lamenta che i suoi avversari “lo stanno demonizzando”. Accanto a un predicatore, in Virginia, il candidato repubblicano accusa il presidente democratico di volere togliere dio dalle banconote, dove campeggia la scritta ‘In God we trust’. La Casa Bianca replica: “Obama crede che la parola dio debba essere tolta dai dollari come crede che gli alieni attaccheranno la Florida”.
Passate le conventions, di cui molti si chiedono a che cosa ormai servano, perché l’attenzione mediatica evapora in un week-end, giochi dunque fatti e otto settimane inutili davanti? Calma: ci sono tour e comizi e, soprattutto, quattro dibattiti televisivi, incluso quello fra i candidati vice –e la gaffe è sempre in agguato-. E poi, di qui al 6 novembre, l’Election Day, sentiremo parlare un sacco della ‘sorpresa d’ottobre’. E’ un mito delle presidenziali statunitensi: c’è stata solo due volte, nel 1864, una vittoria nordista nella Guerra Civile, e nel 2008, lo scoppio della crisi, ma sembra sia sempre in agguato.

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