Ci sono giorni che non ti aspetti che succeda nulla e che,
la mattina dopo, quando apri il giornale, il tuo e pure gli altri, hai proprio
l’impressione che non sia davvero successo nulla. E, invece, c’è stata la
svolta: è arrivata quando nessuno la prevedeva e senza che nessuno o quasi la percepisse. A
parte, ovviamente, twitter e le agenzie, che sono i sensori dell’informazione.
E’ accaduto per Usa 2012: ieri, pareva solo la vigilia dell’11
Settembre, cioè dell’anniversario degli attacchi all’America del 2011, le Torri
Gemelle, il Pentagono, il volo UA93 in Pennsylvania. E, invece, è stato il
giorno che la corsa alla presidenza degli Stati Uniti ha preso una direzione
inequivocabile e, forse, irreversibile: quando la gara pareva in equilibrio,
con vantaggio al presidente sullo
sfidante, ecco Obama prendere il largo nei sondaggi, nei finanziamenti, persino
–per quel che conta- negli amici su facebook (un abisso, lì, il divario: 28,5
milioni di fans contro 6,6). E Romney, un po’ smarrito, cambia per l’ennesima
volta rotta.
Eppure, la campagna pareva potersi prendersi una pausa, dopo
le conventions, finite in parità 1 a 1 e sostanzialmente inutili: aveva segnato
Clint Eastwood per i repubblicani, e pareggiato Bill Clinton per i democratici,
due azioni personali spettacolari. Vicini al gol erano andati Paul Ryan, che
cercava il rigore, ma aveva simulato in area e s’era fatto ammonire, e Michelle
Obama. Invece, i due capitani, i campioni più attesi, Mitt Romney e Barack
Obama, si erano tenuti lontani dalla porta: mai un tiro, attenti più a non
perdere la palla che ad andare in gol. E, se nessuno si aspettava di più da
Romney, il discorso di Obama, francamente, aveva deluso, tutto fatto con il
freno a mano delle promesse e della visione tirato.
E anche le notizie che avevano accompagnato le ultime
battute delle ‘feste di partito’ parevano non modificare gli equilibri, perché di
segni contrastanti. I dati sulla disoccupazione di fine agosto (8,1% i senza
lavoro, con la creazione di 96mila posti di lavoro nel mese) deludevano gli
analisti e non erano, quindi, favorevoli all’Amministrazione democratica,
mentre sale la pressione per misure di sostegno all’economia da parte della
Fed. Però, i dati sulla raccolta di fondi per la campagna segnalavano che,
proprio ad agosto, dopo essere stato sotto il rivale negli ultimi mesi, Obama sopravanzava
Romney, nonostante l’eco di Tampa: 114 milioni di dollari il ricavato da
317mila donatori, con 250 dollari in media l’uno, contro 111 milioni per
Romney, con meno donatori e una media più alta.
Poi, arrivano i sondaggi, quelli buoni, i più attendibili. E
si vede che Obama allunga su Romney: conquista vantaggi che oscillano tra i 4 e
i 6 punti su scala nazionale, ben al di là dei margini di errore statistico; e,
soprattutto, rende ancora più netto il suo margine negli Stati incerti. La
mappa costantemente aggiornata del sito 270t0win assegna a Obama 201 Grandi
Elettori sicuri –ma per alcuni sono già 225-, a Romney 191 (270 è il numero
magico, quello che garantisce la vittoria nelle presidenziali). I Grandi
Elettori in bilico, secondo 270towin, sono 146, in 11 Stati: da Nord a Sud e da
Est a Ovest, New Hampshire, Pennsylvania, Michigan, Ohio, Iowa, Wisconsin,
Virginia, North Carolina, Florida, Colorado e Nevada. Le battaglie cruciali,
ancora una volta, appaiono quelle dell’Ohio e della Florida. E lì Obama pare
allungare decisamente.
Nell’anniversario dell’11 Settembre, il presidente
abbandona, per un momento, i sentieri dell’economia e cavalca il tema della
sicurezza, che, contrariamente alle previsioni di inizio mandato, è diventato
un cavallo di battaglia democratico, specie dopo il ritiro dall’Iraq e
l’eliminazione di Osama bin Laden. Gli Stati Uniti, dice Obama, sono oggi più
forti, sicuri e rispettati di allora, e pure di quattro anni or sono – quel che
conta, per lui -; e conferma il piano di ritiro dall’Afghanistan entro il 2014.
“Ci siamo rifiutati –afferma- di vivere nella paura”, ma anche in un clima di
guerra continuo.
Mentre Romney invita a non badare ai sondaggi e fa retromarcia
sulla riforma sanitaria –dopo avere detto che l’avrebbe abolita come primo atto
della sua presidenza, adesso dice di
volerla emendare-e cerca conforto nel dio degli evangelici; e la moglie Ann si
lamenta che i suoi avversari “lo stanno demonizzando”. Accanto a un
predicatore, in Virginia, il candidato repubblicano accusa il presidente
democratico di volere togliere dio dalle banconote, dove campeggia la scritta
‘In God we trust’. La Casa Bianca replica: “Obama crede che la parola dio debba
essere tolta dai dollari come crede che gli alieni attaccheranno la Florida”.
Passate le conventions, di cui molti si chiedono a che
cosa ormai servano, perché l’attenzione mediatica evapora in un week-end,
giochi dunque fatti e otto settimane inutili davanti? Calma: ci sono tour e
comizi e, soprattutto, quattro dibattiti televisivi, incluso quello fra i
candidati vice –e la gaffe è sempre in agguato-. E poi, di qui al 6 novembre,
l’Election Day, sentiremo parlare un sacco della ‘sorpresa d’ottobre’. E’ un
mito delle presidenziali statunitensi: c’è stata solo due volte, nel 1864, una
vittoria nordista nella Guerra Civile, e nel 2008, lo scoppio della crisi, ma
sembra sia sempre in agguato.
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