Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 12/09/2012
Sono talora rosso sangue, i
frutti della Primavera. Specie se la stagione è stata violenta e cruenta, come
nella Libia, che ancora cerca la strada del dopo Gheddafi. Incerti i fatti e confuso
il contesto, di quanto avvenuto la scorsa notte a Bengasi, perché l’analisi
possa essere già articolata. Ma si possono fare alcune considerazioni e alcuni
interrogativi possono essere posti, a cominciare dal valore della rivendicazione di Al Qaeda
che si attribuisce un’azione cui può avere partecipato, ma che non ha
necessariamente organizzato.
Prima considerazione: quando c’è di mezzo il Corano
e Maometto, noi occidentali avvertiamo spesso una sproporzione tra quelle che
percepiamo come offesa e reazione –accadde, molti anni fa, per Salman Rushdie, o più di recente per le
vignette danesi, o per il rogo dei corani in Florida, e ancora in molti altri
casi-. Sproporzione che, invece, non
appare evidentemente tale a chi protesta con rabbia che uccide, ma pure a
rischio della propria vita.
Seconda considerazione: chi fa montare la protesta e
la indirizza, non chi è folla che manifesta, può usare queste circostanze per
misurare la propria forza, o per darne una misura, sul piano interno e, in
minor misura, su quello internazionale. Un modo per dire ai propri
interlocutori: vedete quanti siamo e che cosa sappiamo fare.
Terza considerazione: la capacità delle forze
dell’ordine locali di tenere sotto controllo la protesta, come è apparentemente
avvenuto in Egitto e come non è avvenuto in Libia, può essere funzione sia
dell’efficienza e dell’organizzazione dell’apparato pubblico –e quello libico,
rispetto all’egiziano, è carente- sia di una minore, o maggiore, connivenza con
quanto sta avvenendo e con chi lo fomenta.
Certo, i tre americani, l’ambasciatore e due
marines, uccisi a Bengasi sono la prova che l’integralismo è presente nella
società libica ed è capace di esplosioni di violenza; e, inoltre, che l’America
ne continua a essere percepita come un nemico e un ostacolo, nonostante nello
specifico il contributo al rovesciamento del regime di Gheddafi e l’aiuto alla
ricostruzione e in generale l’atteggiamento dell’Amministrazione democratica di
apertura e dialogo verso il Mondo islamico.
Apertura e dialogo che non vengono invece riflessi
nei commenti di quanti, in Italia, parlano dell’Islam come “religione che
uccide”: la religione ha spesso ucciso, ma non è stata solo l’Islam.
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