Scritto per Metro del 14/07/2015
Una maratona negoziale di 17 ore per una tregua armata di 48
ore. Perché già domani, mercoledì, sarà tempo di nuove diatribe e di nuovi
litigi, nel Parlamento di Atene e tra Atene e Bruxelles. La trattativa infinita,
di cui la notte insonne dei leader è solo la punta dell’iceberg, produce un’intesa
micragnosa e tecnocratica, che non ha l’afflato della solidarietà e lo slancio
della coesione e che, soprattutto, non ha la visione dell’integrazione, come se
i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’euro fossero tutti miopi, incapaci
di guardare lontano.
L’accordo è figlio della diffidenza e della insofferenza
reciproche, della retorica da media stile ‘Davide contro Golia’ –solo che
Davide, stavolta, s’è tirato il sasso nell'cdu, syriza, occhio suo-, dell’intreccio di
reminescenze classiche e memorie recenti, e ancora delle ansie domestiche di
molti protagonisti: le incrinature dentro la Cdu tra la Merkel e Schaeuble, le
fratture dentro Syriza tra Tsipras e l’ex fido Varoufakis, già pronto a guidare
la fronda al premier nel più classico remake dell’italica serie ‘vile, tu
uccidi un uomo morto’; i timori d’un effetto Grecia in Spagna con Podemos o in
Italia (più con i ‘grillini’ che con la sgarruppata pattuglia dei ‘pro Tsipras’
già orfani del loro leader).
L’immagine che viene alla mente, quasi scontata, è quella
della montagna diplomatico-economica che partorisce un’intesa topolino, fra
molte incongruenze, gran parte delle quali di fonte greca. Perché, ad esempio,
un Paese e un governo che il 5 luglio dice No a una bozza d’intesa ne accetta,
una settimana dopo, il 12 luglio, una di molto peggiore? Ma anche, d’altro
canto, perché quello che venerdì pareva andare bene a tutti, persino alla
troika, improvvisamente sabato diventa inaccettabile? Penso che The Guardian
ieri avesse ragione: “Hanno voluto fargliela pagare” ai greci i tedeschi e i
loro guardaspalle, finlandesi e olandesi, i baltici che meglio non averli
contro, persino maltesi e spagnoli e portoghesi.
Si può pure accettare che ci vogliano 150 giorni abbondanti
per raggiungere un’intesa: la questione è importante, c’è in ballo il destino
di un Paese e di una moneta, forse del progetto d’integrazione. Ci sta dunque che
servano tempo e riunioni, che ci siano scontri e tensioni, che si chiami un
popolo alle urne e i parlamenti al voto. Ma allora ci s’aspetta un risultato solido:
“lacrime e sangue”, magari, tanto per restare alle citazioni trite e un po’
dubbie, ma in cambio d’una soluzione duratura, non d’una pecetta posticcia.
Invece, ora, entro domani, la Grecia dovrebbe fare le riforme e i tagli che doveva fare per entrare nell’euro e che da 15 anni, tra furbizie sue e connivenze altrui, si guarda bene dal fare. Chi ci crede, mi faccia un tweet.
Invece, ora, entro domani, la Grecia dovrebbe fare le riforme e i tagli che doveva fare per entrare nell’euro e che da 15 anni, tra furbizie sue e connivenze altrui, si guarda bene dal fare. Chi ci crede, mi faccia un tweet.
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