E venne finalmente l’accordo, salutato da scampanii diplomatici in tutto il Mondo (o quasi, perché Israele veste a lutto). Anche se, a Teheran come a Washington, alcuni rintocchi suonano ‘falsi’, o almeno strani: invece di salutare l’intesa in positivo, esaltando i germi di speranza e prosperità che essa contiene, i presidenti Rohani e Obama insistono piuttosto sui margini di manovra che essa lascia per fare ‘marcia indietro’, se necessario: l’Iran per riprendere una propria via autonoma, l’America per tornare alle sanzioni. Evidentemente, la preoccupazione di contestazioni interne prevale sugli elementi di soddisfazione internazionale.
Che,
tanto, è scontata. A esprimerla a Vienna ci pensano i corifei dell’accordo,
giunto dopo 13 anni di contenzioso, almeno nove di trattative, innumerevoli
scadenze mancate, maratone notturne abortite e –questa è storia recentissima-
estenuanti tempi supplementari e ripetute speranze deluse – l’ultima lunedì,
quando tutto pareva fatto e s’è dovuto attendere un giorno ancora-.
Dopo
che l’Iran e i ‘5+1’, le cinque potenze nucleari storiche più la Germania, hanno
perfezionato l’intesa sul programma nucleare della Repubblica islamica, che
avrà solo finalità civili e che sarà tenuto sotto stretto controllo dagli
ispettori internazionali, Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la
politica estera e di sicurezza dell’Ue, parla di "un momento storico"
e di un "nuovo capitolo delle relazioni internazionali”: "Non è solo
un accordo, è un buon accordo" che "sarà un contributo alla pace e
sicurezza regionale e internazionale". Il ministro degli Esteri iraniano
Mohammad Javad Zarif le fa eco: l'intesa "non è perfetta, ma è quella che
potevamo raggiungere", e apre "un capitolo di speranza nuovo".
La
rinuncia all’atomica –un obiettivo mai dichiarato- e l’accettazione delle
ispezioni sono bilanciate per l’Iran dalla levata delle sanzioni Onu, Usa e Ue
e di altre restrizioni che ormai da tempo condizionavano lo sviluppo dell’economia
iraniana. E Teheran mette sul piatto della bilancia, come ‘buon peso’ per
l’Occidente, pure il coinvolgimento nella lotta alla milizie jihadiste –e
soprattutto sunnite- del sedicente Califfato.
Il
che, per Obama, rappresenta un’arma a doppio taglio: efficace, operativamente;
imbarazzante, diplomaticamente, perché i sauditi e le monarchie del Golfo,
tradizionali alleati degli Stati Uniti, non sono affatto contenti dello statuto
riconosciuto all’Iran, loro nemico. Infatti, il presidente Usa s’affretta a distribuire
rassicurazioni all'opinione pubblica americana, ma anche agli israeliani ed
agli altri alleati nella regione mediorientale: l’accordo –spiega- "non si
basa sulla fiducia ma sulla verifica", perch? L’Agenzia dell’Onu per
l’energia atomica, l'Aiea, “avrà accesso quando e dove é necessario” e, se gli
impegni non verranno rispettati, "tutte le sanzioni saranno
ripristinate".
In
un discorso in tv in diretta, l’iraniano Rohani ha praticamente fatto
altrettanto: ha promesso che "se le potenze rispetteranno l'accordo, anche
l'Iran vi si atterrà" –il che vuol dire che se qualcuno sgarrasse sulle
sanzioni, Teheran si sentirebbe svincolata dagli impegni-. Il presidente
riformista, che ha goduto in questa trattativa dell’appoggio della guida
suprema Ali Khamenei, è stato, nell’insieme, positivo: l’intesa è il frutto di
"un negoziato che fa vincere tutti" e durante il quale l'Iran
"non ha chiesto elemosine", ma ha solo condotto una trattativa
"equa e giusta".
Unanime
il coro di plauso dei protagonisti del negoziato e anche di chi stava in
panchina. Il russo Putin dice che il Mondo “tira un sospiro di sollievo” (e la
Russia, la più vicina all’Iran fra i ‘5+1’,
guadagna punti sulla scena internazionale). Il francese Hollande chiede
all’Iran un ulteriore “gesto di buona volontà”, contribuendo alla fine della
guerra in Siria –ma bisognerà prima concordare l’assetto del Paese nel ‘dopo
Assad’-. Londra e Berlino, come Pechino, testimoniano soddisfazione. L’Onu
legge nell’intesa la prova del “valore del dialogo” e si mette a disposizione
per contribuire all’attuazione dei patti. La Santa Sede apprezza “il risultato
importante”. E il ministro degli Esteri italiano Gentiloni, da Beirut, esprime
la speranza di ricadute positive su tutta la regione.
In
Iran e negli Usa, ora la partita diventa politica. A Teheran, sarà conservatori
contro riformisti (ma la benedizione di Khameney dovrebbe attenuare i contrasti).
A Washington, il match è più intricato, perché le perplessità sono bypartisan:
molti forti fra i repubblicani, che controllano il Congresso, ma con venature
di diffidenza anche fra i democratici –Hillary Clinton, candidata alla
nomination 2016, ne è una portavoce. Obama ha però mandato un messaggio chiaro:
porrà "il veto a qualsiasi legge che impedisca l'attuazione"
dell'accordo.
L'accordo in tre punti
Uranio e centrifughe – Teheran dovrà scendere da 10mila chili di uranio arricchito a 300 chili, (taglio del 98%) e rispettare una moratoria di 15 anni. Le centrifughe saranno ridotte di due terzi, cioè da 19mila a 5mila. L’Iran avrà bisogno di un anno per tornare in grado di produrre l’atomica.
Ispezioni – Gli ispettori dell’Aiea avranno in teoria accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a tutti i siti nucleari iraniani, anche quelli militari. Teheran potrà però rivolgersi a un tribunale arbitrale, di cui faranno parte tutti i Paesi firmatari dell’accordo, contestando le ispezioni.
Sanzioni e embargo – Una risoluzione dell’Onu per la levata sarà approvata entro luglio, ma diventerà effettiva non prima di tre mesi (durante i quali Teheran dovrà mostrare di stare ai patti). L’embargo sulle armi sarà gradualmente allentato nei prossimi 5 anni
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