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martedì 25 gennaio 2011

Albania: Tirana aspetta il prossimo round tra dubbi e paure

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/01/2011

Leonardo è un uomo non più giovane, ancora attivo, capelli bianchi e occhiali, l’aria un po’ da zio: forse, non un mite; certo, non un violento. Venerdì scorso, era in piazza a Tirana, a manifestare davanti alla sede del governo: “Eravamo tutta gente comune –racconta-, persone qualunque, non c’erano i leader politici: protestavamo contro la corruzione, ma il clima era tranquillo ... Poi ho sentito gli spari: pensavo fossero a salve, invece erano pallottole vere: hanno fatto tre morti, c’erano dei feriti”.

Ieri, Tirana era tesa, ma tranquilla: una pioggia battente, l’aria tagliente, il cielo basso che toccava terra a un giro d’orizzonte ravvicinatissimo, tutto avrebbe indotto la gente della capitale a starsene ben riparata, al caldo, anche se la manifestazione, inizialmente prevista per lunedì, non fosse stata rinviata a venerdì. E, allora, ci saranno i politici, in primo piano il leader socialista, Eli Rama, sindaco di Tirana, che oggi ha lanciato un appello all’Italia, all’Ue e alla comunità internazionale perché mostrino interesse e condannino la “violenza di Stato”: “I contestatori arrestati sono stati malmenati e non hanno potuto ricevere visite in carcere”. Sabato sarà il premier Sali Berisha a mobilitare i suoi sostenitori: “Non tollereremo altre violenze”, dice. E, dopo il video dell’agente che spara, ne spunta uno contrapposto di un facinoroso armato.

Ovunque in città, anche sui luoghi della sommossa, il traffico è normale, magari un po’ intasato causa maltempo. Poliziotti in giro pochi, comunque non più del solito: la città non vive uno stato d’assedio. Ma la gente non parla d’altro. E le opinioni sono vivaci. E diversissime. All’Università, gli studenti avanzano dubbi di natura diversa su tutto quanto è successo: loro in piazza non c’erano e qualcuno pare disilluso al limite del qualunquismo da vent’anni, i suoi vent’anni, di alternanza nella corruzione. C’è chi dubita della vicenda di bustarelle all’origine della manifestazione di venerdì –una messinscena?-; c’è chi rimprovera a Rama di avere organizzato la protesta, ma di non averla poi guidata; c’è chi parla di provocazione dei contestatori nei confronti delle forze dell’ordine; c’è chi denuncia una trappola delle Guardia repubblicana, i pretoriano del premier, nei confronti dei manifestanti. Sospetti, non fatti. Chiacchiere, non certezze.

E venerdì, e sabato, che cosa succederà? Più che di paura, l’attesa si carica di scetticismo: “In Albania, è facile fare scendere la gente in piazza”, dice un giovane, che si ricorda di avere già partecipato, sulle spalle del padre, quand’era piccino, ai cortei contro il regime comunista. “Noi albanesi –prosegue-, appena possiamo, protestiamo, contro Berisha e poi contro i socialisti e poi di nuovo contro Berisha”. Ma, alla fine, “le proteste non lasciano il segno: al potere, ci sono sempre gli stessi, sempre corrotti”.

Se i ragazzi sono confusi, pronti a scornarsi tra di loro, un’insegnante ha le idee chiare. Denuncia l’eclissi dello stato di diritto dietro la decisione del governo di non fare rispettare l’ordine emanato dalla magistratura di arresto dei responsabili degli spari di venerdì, sei elementi della Guardia repubblicana: “E’ un colpo di mano –dice-, un colpo di Stato”. E lamenta la disattenzione, o il disinteresse, delle organizzazioni internazionali.

Che di Albania e di albanesi, in realtà, si occupano: con dichiarazioni, ma anche nei tribunali. E, ieri, c’è stato un consulto di ambasciatori a Tirana. Berisha, giovedì, sarà a Strasburgo, al Consiglio d’Europa: andrà a difendere il premier kosovaro Hashim Thaci dalle accuse di traffico d’organi, davanti alla Corte dei diritti dell’uomo. Rispetto alla violenza assassina di venerdì, il clima di questo lunedì sembra più essere quello di una guerra di parole, come se dietro le quinte si stia negoziando una via d’uscitad a questo intreccio di tensioni e rivendicazioni, che nasce dalle elezioni politiche contestate del 2009, ma che in realtà attraversano tutta la storia dell’Albania repubblicana post-comunista.

Berisha non vuole l’arresto delle Guardie che hanno sparato, nonostante vi siano filmati che ne provano la responsabilità. Ma il punto, chiaramente, non è questo (o, almeno, non è solo questo): l’opposizione sente che l’equilibrio del potere potrebbe cambiare di campo, il governo lo teme. E gli uni e gli altri, a parole, s’arroccano.

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