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martedì 18 gennaio 2011

Libano: il processo Hariri avvita il paese nella crisi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/01/2011

Forse, l’onda della sommossa in Tunisia non c’entra nulla. Ma il Libano, il paese più fragile del Medio Oriente, quello dagli equilibri interni più delicati, è attraversato da fremiti d’incertezza e da forti tensioni. Le consultazioni per la designazione del nuovo premier, che dovevano cominciare ieri, dopo la caduta del governo di Saad Hariri, sono state rinviate di una settimana, proprio mentre un gruppo di Paesi della Regione lanciava un appello per rilanciare la mediazione siro-saudita. La crisi è legata agli sviluppi dell’inchiesta del Tribunale Speciale per il Libano, che indaga sull’assassinio nel 1995 del primo ministro Rafic Hariri, il padre del dimissionario Saad, e che è ormai giunto a formulare un atto d’accusa.

Gli sviluppi della crisi, precipitata dopo che i ministri del movimento Hezbollah, sostenuto dall’Iran, e dei suoi alleati hanno lasciato il governo Hariri, fanno temere un ritorno della violenza in un paese composito dal punto di vista etnico e religioso e dove la comunità internazionale, inquieta, schiera forze a tutela della pace lungo il confine con Israele.

E mentre il Libano s’avvita nella sua crisi, fermenti di protesta, nella scia degli eventi in Tunisia, emergono dove te lo aspetti, come al Cairo, e dove non sai che cosa aspettarti, come a Nouakchott: nelle capitali egiziana e mauritana, due uomini si danno fuoco di fronte a edifici governativi, in segno di protesta. Entrambi sopravvivono al loro gesto. L’egiziano è il proprietario di un ristorante della provincia di Ismailia chiuso dalle autorità: s’è dato fuoco davanti all’Assemblea del Popolo, dopo avere tentato di entrarvi per chiedere ‘giustizia’. Il mauritano è un imprenditore di ricca famiglia, che protestava contro un torto subito dalla sua tribu. Si è cosparso di benzina nell’auto e s’è dato fuoco prima che i soccorritori lo estraessero dal veicolo.

Gli sviluppi libanesi si sono scritti, ieri, a Damasco e all’Aja. Nella capitale siriana, il premier turco Recep Tayyip Erdogan, l’emiro del Qatar sceicco Ahmad ben Khalifa al-Thani e il presidente siriano Bachar al-Assad hanno sollecitato una nuova mediazione siro-saudita per risolvere la crisi a Beirut, secondo quanto ha riferito l’agenzia siriana Sana. Da Ryad, il governo siriano ha messo in guardia le forze politiche libanesi dei rischi di sedizione e di disordini: in un comunicato, il governo saudita invita «i fratelli del Libano a lavorare insieme per preservare l’unità, la sicurezza e la stabilità» del loro Paese. Oggi il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu sarà a Beirut, insieme al collega del Qatar, per tentare di sciogliere i nodi della crisi, dopo avere incontrato, ieri sera, ad Ankara, il ministro iraniano Ali Akbar Salehi. La Francia propone un ‘gruppo di contatto’ dei Paesi disposti a fare fronte comune per aiutare il Libano a uscire dalla crisi.

Ma i fermenti e le tensioni sono alimentate dalla notizia che all’Aja il procuratore del Tribunale Speciale ha depositato ieri l’atto di accusa, con i documenti a sostegno delle sue conclusioni, che restano, per il momento, segrete. Ci vorranno «tra sei e dieci settimane» perchè vengano emanati mandati d’arresto internazionali o citazioni a comparire, se il giudice competente avallerà le conclusioni del procuratore. Altrimenti, l’inchiesta potrebbe proseguire, o ripartire.

Ma gli Hezbollah, che temono di essere additati come responsabili dell’omicidio Hariri, avevano fatto inutilmente pressione sul figlio, Saad, perchè sconfessasse a priori le conclusioni del Tribunale Speciale. E, davanti al rifiuto di Saad, gli Hezbollah hanno fatto cadere il governo. La crisi minaccia la stabilità del Paese e la pace nella Regione, ma mette in forse pure la crescita economica e la solidità finanziaria del Libano, come avverte, in un’intervista all’Afp, il governatore della banca centrale Riad Salamé.

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