Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/01/2011
Il rovesciamento in Tunisia del regime di Ben Ali, provocato da una sommossa popolare, potrebbe innescare, nel Nord Africa e nel Medio Oriente, un effetto domino, in regimi guidati da satrapi che governano praticamente a vita. Le situazioni sono diverse Paese per Paese e le tessere del domino, soprattutto, possono cadere in direzioni diverse: può partire una catena della democrazia, ma pochi ci credono, in un’area che ne ha scarsissima esperienza; ma può anche diffondersi il contagio dell’integralismo, specie là dove i rais hanno anche fatto da ‘tappo’ alle pulsioni fondamentaliste (forse, il rischio più grosso è l’Egitto) e alle mene di al Qaida. La disperazione della miserie è humus per l’integralismo: giovani senza certezza di futuro, ceti medi sempre più poveri, governi lontani dalla gente e l’Europa chiusa nell’egoismo della crisi.
Sull’ipotesi ‘effetto domino’, s’interroga la stampa occidentale. Il più entusiasta è Anonymous, network di hacker pro-Wikileaks, che manda un messaggio via twitter: “Buongiorno, Tunisia: oggi, festeggi l’inizio della democrazia”. Il New York Times parla di "una lezione ai leader arabi" e dice: "La rivolta in Tunisia ha elettrizzato la regione" e "i più entusiasti sostengono che è la Danzica araba", la città dei cantieri polacca da cui nel 1980 partì la rivolta di Solidarnosc, i cui germogli, un decennio dopo, provocarono la caduta del muro di Berlino.La speranza è forse prematura, ammette il NYT, ma la Tunisia offre "un nuovo modello di dissenso in una regione dove l'opposizione e' stata” spesso “monopolizzata dagli estremisti islamici". Le Monde si chiede in un editoriale se si vada verso "una primavera democratica araba": la fuga di Ben Ali è, comunque, la fine "dell'eccezione arabo-musulmana" nel tramonto delle dittature che aveva segnato la fine XX Secolo nell'Europa orientale e in America latina. I Paesi arabi che dispongono di risorse petrolifere possono superare meglio le rivolte, avendo i "mezzi per comprare una temporanea pace sociale".
La fuga di Ben Ali e le violenze in Tunisia sono il titolo principale in Medio Oriente e sulle tv satellitari panarabe. Ma, in Egitto, il quotidiano filo-governativo al Ahram si limita a riferirne senza commenti (e senza immagini della sommossa). Proprio l’Egitto del vecchio (e malato) presidente Hosni Mubarak, al potere dall’uccisione nel 1981 di Anwar al-Sadat, è la possibile seconda tessera del domino democratico (o integralista) di quest’area: la candidatura alla successione di Mubarak del figlio Gamal sa di dinastia più che di democrazia, in una partita in cui i Fratelli Musulmani, più che l’ex capo dell’Aiea, Mohammad el Baradei, diranno la loro. Il ministero degli esteri del Cairo esprime “rispetto” per le scelte “del popolo di Tunisia” e fiducia che si possa evitare il caos.
Il ‘contagio’ ha già investito l’Algeria, il cui presidente Abdelazif Bouteflika è però in carica ‘solo’ al 1999 e ha una legittimità da eroe della guerra d’indipendenza contro la Francia, che ora lo tiene su. E le onde d’urto potrebbero toccare le monarchie dell’area: la Giordania, dove Abdallah II, più di casa a Washington che ad Amman, ha già introdotto elementi di democrazia e modernizzazione, e il Marocco, dove Mohammed VI è, invece, più legato a formule tradizionali.
Due tessere del domino potrebbero pure essere la Palestina prossima ventura e il fragile Libano. A Gaza, Hamas rispetta la volontà del popolo tunisino e denuncia il rischio di "ingerenze straniere"; e la Jihad indice una manifestazione di solidarietà. In Libano, la crisi di governo in atto dà spazio alle manovre del movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah, sostenuto dal regime iraniano.
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