Ma quanto glieli fanno
sospirare gli aiuti promessi a ‘sta Grecia, dove –è allarme di ieri- cominciano
a scarseggiare i medicinali, segnale estremo della gravità della crisi
economica e sociale. Al Vertice europeo della scorsa settimana, quello finito
con un nulla di fatto sui bilanci Ue 2014/20120, i leader avevano detto che non
c’era più problema e che la riunione dell’Eurogruppo, lunedì, sarebbe stata
poco più di una formalità. Meno di 24 ore dopo, tutto invece pareva sul punto
di saltare, o almeno di slittare al 3 dicembre.
Poi la riunione è stata
confermata e, ieri, di nuovo, fino a metà giornata, anche il ministro delle
finanze tedesco Wolfgang Schauble si mostrava ottimista, almeno per quello che
veniva presentato come un accordo politico,
Ma, cominciati i lavori, sono
cominciati i dolori. Sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker, i ministri delle
finanze dei Paesi dell’euro cercavano di definire, con l’Fmi, il Fondo monetario
internazionale, un piano per rendere il debito ellenico sostenibile.
E così la riunione è andata
avanti a tarda sera, sotto l’incubo dei due insuccessi precedenti. Perché
quella di ieri è stato il terzo incontro, in meno di due settimane, dell’Eurogruppo
sempre sugli aiuti alla Grecia. E fortuna che il Vertice europeo di metà
ottobre aveva dato il suo avallo a interventi che evitino il fallimento di
Atene.
Dopo i brucianti flop degli
appuntamenti precedenti, è ormai chiaro che il negoziato non si svolge più tra
Grecia e troika delle istituzioni finanziarie internazionali (Ue, Bce, Fmi), ma
è piuttosto tra Eurozona ed Fmi: i temi sul piatto sono l’abbattimento del debito
–come ed entro quando- e l’erogazione degli aiuti.
Il commissario europeo agli Affari
economici Olli Rehn dice: “E’
essenziale raggiungere un’intesa. Incoraggio tutti a percorrere l’ultimo
miglio, anzi gli ultimi centimetri che mancano, perché siamo molto vicini”. Ma
Rehn è quello che, giovedì scorso, giurava che tutti i 27 erano pronti a
varcare le loro linee rosse nel negoziato sul bilancio (e, invece, nessuno ha
poi varcato la propria).
La questione più urgente sono i 31,2
miliardi di prestiti promessi ad Atene e non ancora
concessi. Sul punto c’è stata sabato una teleconferenza informale, che ha sciolto
nodi e fissato un calendario. I contatti sono proseguiti ieri mattina: a
colloquio, fra gli altri, il premier Monti e la cancelliera Merkel.
Eppure, alla fine, un rinvio della
decisione finale al prossimo Eurogruppo del
3 dicembre resta possibile. L’emergenza di metà novembre, invocata dal governo Samaras,
è stata, infatti, superata: l’esecutivo ellenico ha pagato gli stipendi con
l’emissione di nuovi titoli di Stato.
La buona notizia per Atene è che la
linea di aiuti potrebbe essere
rimpinguata. Oltre ai 31 miliardi, infatti, sono già pronti altri 12,8 miliardi
circa. Bisogna, dunque, di ragionare su un pacchetto unico del valore di 44
miliardi.
Più che di aiuti, ieri s’è parlato del debito di
Atene: s’è discusso della concessione di due anni in più (dal 2014 al 2016)
alla Grecia per portare il rapporto deficit/Pil
al 3% e dell’allungamento dal 2020 al 2022 del termine per ridurre il rapporto
debito/Pil al 120% (dall’attuale 190%). Due misure che comportano costi extra
rispetto ai calcoli finora fatti: circa 32 miliardi di euro tra il 2014 e il
2016.
Anziché a una ristrutturazione
del debito, come chiede l’Fmi, si pensa ad alcune soluzioni
gradite alla Germania,
recuperando qualche miliardo in giro per l’Europa tra i creditori di Atene:
sarebbe una ristrutturazione 'soft'.
L’ipotesi prevede un abbattimento
d’ufficio dei tassi di interesse dei prestiti concessi
dalla Grecia e la cessione ad Atene di parte degli interessi maturati dalle
banche centrali su obbligazioni elleniche in loro possesso. Ma l’ipotesi di una
‘sforbiciata’ al debito non è ancora tramontata, sebbene Berlino, continui ad
esservi fermamente contraria.
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