Da un rinvio all’altro, l’Unione europea non è più capace di
prendere decisioni: né quando c’è il fuoco dell’urgenza, né quando ci sarebbe
agio di negoziare con tutta calma. Com’é il caso delle trattative sulle
prospettive finanziarie 2014-2020, dove i miliardi di euro di differenza tra
chi vuole spendere di meno e chi è disposto a spendere di più sono un centinaio
in sette anni, poco più di 15 all’anno. Eppure bastano a mandare tutto
all’aria; o, almeno, a rinviare tutto a gennaio, quando i leader dell’Ue giurano
non sarà difficile trovare un’intesa: “C’è il potenziale per raggiungere un
accordo”, è il ritornello a fine lavori.
Nel frattempo, quasi a farsi perdonare questo passo falso
–solo il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso parla
apertamento di “fallimento”-, i paesi dell’Eurogruppo già assicurano che la
decisione sugli aiuti alla Grecia è cosa fatta e che la prossima riunione
dell’Eurogruppo sarà poco più di una formalità: vedremo, visto che ce ne sono
già state tre d’interlocutorie dopo il Vertice di metà ottobre. E vedremo pure
come andrà a fine con il bilancio suppletivo 2012 e con quello preventivo 2013,
rimasti in alto mare.
Dunque, il Consiglio europeo straordinario di Bruxelles si
conclude con un nulla di fatto e, per dirla come il premier lussemburghese Jean
Claude Juncker "senza né vincitori, né vinti". Il Vertice ha affidato
al suo presidente Herman Van Rompuy il mandato di presentare una nuova bozza di
compromesso finanziario che sarà discusso in un nuovo incontro, probabilmente a
gennaio.
Che il rinvio fosse la conclusione più probabile, lo si era
capito fin dalla vigilia, quando l’ipotesi era stata evocata dalla cancelliera
tedesca Angela Merkel e da altri leader, nella convinzione, condivisa dal
governo italiano, che un rinvio sarebbe stato meno drammatico di una rottura,
in particolare con la Gran Bretagna, il Paese più restio a versare soldi nelle
casse comunitarie e più determinato a mantenere uno sconto sul suo contributo
netto.
Van Rompuy, bersaglio di tutte le critiche in quanto autore
della bozza di compromesso contestata, afferma che non è il caso di
"drammatizzare”, perché, ricorda, “anche nel 2005 servirono due
tornate" di negoziati "per arrivare all’accordo" sulle
prospettive finanziarie pluriennali. E il presidente del Consiglio italiano
Mario Monti lo conforta: "Non avere raggiunto l’intesa oggi non pregiudica
nulla: ricordiamoci che il tutto entrerà in vigore nel 2014",
sottolineando che "non è la rapidità della decisione a contare, ma il loro
contenuto”.
Che non ci fosse il clima del negoziato ad oltranza e
dell’accordo a ogni costo, lo si era capito subito: la prima giornata, giovedì,
è stata spesa in una guerra di trincea combattuta dalle singole delegazioni nei
confessionali con Van Rompuy, che voleva così saggiare priorità e possibili
concessioni. L’esercizio è sfociato in una bozza di compromesso rivista
rispetto a quella trasmessa la scorsa settimana a tutte le delegazioni: saldi
invariati, con un taglio di 80 miliardi di euro rispetto alle proposte di
partenza della Commissione europea, ma diversa articolazione delle riduzioni
(venendo così incontro a Italia e Francia, specie su agricoltura e politiche
per la coesione). Ma la Gran Bretagna ha continuato a dire che così si spende
troppo e li altri hanno continuato ad avanzare le loro recriminazioni.
Il negoziato non è mai decollato: i leader si sono riuniti
in plenaria poco dopo mezzogiorno, avendo speso la mattina in ulteriori
bilaterali, ma nessuna aveva la voglia di impegnarsi in una trattativa a
oltranza. Quattro ore o poco più di traccheggi e poi il rinvio: una fine
annunciata. Triste, ma non troppo. E, dal punto di vista dell’operatività
dell’Ue, ininfluente. L’immagine, certo,non ci guadagna.
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