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martedì 20 novembre 2012

MO: Obama 'bino' vede San Suu Kyi, chiama Morsi e Netanyahu

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/11/2012

Hai voglia a dire che la priorità sono gli sgravi fiscali per la classe media, il bilancio, il debito. Poi scopri che l’ ‘Obama 2 comincia nel segno della politica estera: in parte, questa è una scelta voluta dal presidente americano, che, appena confermato alla Casa Bianca per il prossimo quadriennio, intraprende un viaggio asiatico, in occasione del Vertice dell’Apec, appuntamento annuale dei Paesi che s’affacciano sul Pacifico; ma, in parte, è una scelta subita, perché della fiammata di tensione nella striscia di Gaza tra israeliani e palestinesi, che rischia di incendiare tutto il Medio Oriente, Obama avrebbe sicuramente fatto volentieri a meno.

Il lunedì del presidente è una giornata faticosissima, su tre fusi orari diversi: quello di Washington, dove i negoziati finanziari fra l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana vanno avanti; quello di Gaza, dove giungono i suoi appelli di prammatica alla moderazione e, in serata, anche una telefonata al presidente egiziano Mohamed Morsi, l’uomo che media, in queste ore, insieme al segretario generale delle nazioni Unite Ban Ki-moon, e al premier israeliano Benjamin Netanyahu; e, infine, quello di Rangoon e Phnom Penh.

La visita di Obama in Birmania è lampo, perché la sera è già in Cambogia per il Vertice dell’Apec: così, in uno stesso giorno, diventa il primo presidente degli Stati Uniti ad essere stato in entrambi i Paesi. Il passaggio a Rangoon lascia il segno, in quella che fino a pochi mesi or sono era la capitale di una delle retroguardie della dittatura nel Mondo: accolto da decine di migliaia di cittadini in festa che lo salutano come “un eroe” e “una leggenda”, incontra il capo dello Stato Thein Sein e fa visita a casa sua alla leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi: è il secondo colloquio fra i due Nobel per la Pace, lei nel 1991, lui nel 2009, dopo quello del settembre scorso alla Casa Bianca.

“Gli Stati Uniti sono con voi”, dice agli studenti dell’Università: “Il vostro viaggio” verso la libertà e la democrazia “è appena incominciato e sarà ancora lungo … Le fragili fiamme del progresso non devono spegnersi, ma devono divenire una stella che guidi il vostro popolo”. Tutti applaudono, chi capisce si commuove. Invece, Obama è meno tenero in Cambogia, nella capitale che vide gli orrori dei Khmer rossi: ai dirigenti contesta il mancato rispetto dei diritti umani.

Nelle prossime ore, la missione asiatica metterà il presidente americano a tu per tu con ansie, dubbi e interrogativi sulla Cina che è appena uscita dal congresso del Partito comunista con nuovi leader: non è ancora l’ora dell’incontro con Xi Jinping, il nuovo segretario generale del Partito comunista cinese, perché Hu Jintao resterà presidente fino a marzo; ma è l’ora di sondare il terreno sul futuro delle relazioni Usa-Cina.

Di certo, questa missione non è il segnale d’una opzione asiatica del ‘nuovo Obama’, a detrimento dell’Europa: l’Apec era un appuntamento in agenda da un anno e il presidente ci doveva andare. Fermo restando che l’attenzione per la Cina resterà, probabilmente, maggiore di quella per l’Europa nel secondo mandato del presidente nero, come lo è stata nel primo.

Per i diplomatici americani, il fatto nuovo è la crisi mediorientale: il primo shock israelo-palestinese dalle implicazioni militari potenzialmente incandescenti post Primavere arabe; una cartina di tornasole per l’Egitto post Mubarak; e un banco di prova per l’ Obama 2’, che non cambia la linea dell’alleanza con Israele.
Ma la conferma dell’alleanza si accompagna all’invito alla moderazione. C’è chi crede che Benjamin Netanyahu, premier israeliano, che non s’intende con Obama e preferiva Mitt  Romney, abbia inasprito la ritorsione proprio per mettere alla prova la determinazione dell’America di essere al fianco di Israele. Come è forse vero che, se Romney avesse vinto le elezioni, questa crisi non sarebbe scoppiata ora, ma l’inverno prossimo. Quali che siano le molle dell’azione israeliana, Obama e gli Stati Uniti mostrano, per il momento, un certo equilibrio e, soprattutto, evitano drammatizzazioni. Come fa, in Egitto, il presidente Morsi.

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