Schermaglie al curaro fra leader, mentre ci
s’addentra nell’ennesima ‘settimana decisiva’ dell’Ue sui fronti di crisi:
salvataggio della Grecia; bilancio 2013 e suppletivo 2012; prospettive finanziarie
a medio termine. Oggi c’è un Eurogruppo, che dovrebbe finalmente sbloccare
una fetta di aiuti ad Atene di oltre 31 miliardi di euro –ma l’Fmi si mette di
traverso-: sarebbe ossigeno per la Grecia che rischia l’asfissia.
Giovedì e venerdì c’è un Vertice consacrato sulla
carta ai temi del bilancio. E per tutta la settimana il Parlamento europeo
siede in sessione plenaria a Strasburgo, minacciando azioni di ostruzionismo se
il Consiglio non viene a patti sul bilancio.
Il dossier sull’Unione bancaria resta, in questi giorni, nei cassetti:
ne uscirà prima del Consiglio europeo di metà dicembre.
Ieri, le borse europee si sono messe inopinatamente
ad andare forte: né le incertezze economiche e finanziarie dell’Eurozona né le
tensioni internazionali per la crisi israelo-palestinese le hanno minimamente
turbate. Lo spread, invece, resta lì sopra 350 –e, certo, l’altalena delle
dichiarazioni nel Golfo del premier Monti non ne incoraggia la discesa-.
Le notizie congiunturali non dovrebbero indurre
all'ottimismo. Lasciamo stare l’Italia, dove i dati delle commesse industriale
sono negativi da oltre un anno. La Bundesbank vede ridursi le speranze di una
ripresa economica rapida in Germania; e getta un sasso nello stagno dell’Unione
bancaria, asserendo che i grandi Stati dovrebbero avere un peso maggiore nella
supervisione bancaria affidata alla Banca centrale europea.
In vista dell’Eurogruppo, la Grecia si considera “in
assetto di marcia” per ottenere gli aiuti Ue e Fmi. Ma proprio l’Fmi non appare
ancora convinto e la Germania boccia l’ipotesi di cancellazione del debito
greco. A Bruxelles, le fonti delle Istituzioni dicono che oggi è il giorno
dell’accordo, “deve esserlo”. Ad Atene il premier Samaras riunisce a tarda sera
la sua maggioranza.
Sul bilancio, le parole fra i leader sono aspre. A
Parigi, il presidente Hollande se la prende coi Paesi che “vanno a Bruxelles a
cercare il loro assegno, i loro sconti, i loro storni” dalla cassa comune, “mentre
noi lanciamo appelli alla solidarietà e alla mobilitazione per la crescita”. Hollande
non la cita, ma ce l’ha soprattutto con la Gran Bretagna che difende il suo
sconto (la Francia è fra i 27 quello che più vi contribuisce).
Hollande risponde al premier Cameron, che a Londra
dice di non sentirsi “l’europeo cattivo”, solo perché si appresta a chiedere
tagli al bilancio dell’Ue, come, del resto, è nella tradizione britannica dal
1979, cioè da quando arrivò a Downing Street Margaret Thatcher. Parlando alla
Confindustria, meno euro-scettica del governo, tant’è che paventa un referendum
sull’uscita dall’Ue, il premier sostiene che “volere una disciplina di bilancio
accresciuta” significa essere “un buon europeo”. Cameron, tuttavia, non rinnova
la minaccia di usare il veto per bloccare un’intesa a Bruxelles, se non otterrà
soddisfazione.
Anzi, Londra giudica un’intesa al vertice possibile,
dopo che le ultime ore hanno visto un intreccio di contatti telefonici:
Cameron, ad esempio, ha parlato con la cancelliera Merkel, con Hollande e con i
leader olandese, polacco, svedese e danese. E i contatti continuano.
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