Che sia Usa o Ue o Onu, la diplomazia internazionale
è in prima linea nella crisi tra israeliani e palestinesi, per impedire
l’escalation del conflitto con l’ingresso nella striscia di Gaza di reparti
dell’esercito di Tel Aviv. L’operazione è finora riuscita, ma le prossime 24/48
ore saranno cruciali: Israele è pronta all’offensiva di terra, ma riconosce che
una soluzione diplomatica è meglio; e Hamas vaglia le condizioni d’una tregua.
Contatti sono in corso in Egitto, al Cairo.
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, che
domenica aveva già chiesto la fine immediata delle violenze, arriva al Cairo
per incontrare il presidente egiziano Mohamed Morsi; poi andrà anche in Israele
e nei Territori. Dal Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Ue, riuniti a Bruxelles,
viene un appello a un cessate-il-fuoco immediato, che sarebbe “nell’interesse
di tutti”. E il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi vede “le premesse
perché si arrivi a una tregua nelle prossime ore", ma Israele - aggiunge –
può "autolimitare la propria forza solo se ha la sicurezza assoluta che i
lanci di razzi non si ripetano". Tony Blair, inviato speciale del
Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Ue e Onu) e il ministro degli
esteri tedesco Guido Westerwelle sono attesi in Israele. E dall’Asia, dov’è in
missione, giunge la voce del presidente americano Barack Obama: gli Stati Uniti
riconoscono a Israele il diritto a difendersi, ma rinnovano l’invito
all’autodeterminazione e sostengono la missione di pace di Ban.
L’azione della diplomazia si sviluppa soprattutto di
giorno, La notte, è l’ora dei raid, delle vittime, delle distruzioni. Per il sesto giorno consecutivo, l'aviazione
israeliana è all'offensiva nella Striscia colpendo anche lo stadio di Gaza: il
bilancio degli attacchi di oggi, a metà giornata, era di 18 morti e una
cinquantina di feriti. Sale così a oltre 100, secondo fonti mediche, il numero
delle vittime dall'inizio degli attacchi. Ma i tiri di razzi su Israele sono
solo diminuiti, non cessati, dopo che domenica era stata presa di mira pure Tel
Aviv.
Un comunicato del portavoce militare israeliano precisa
che dall'inizio dell'operazione denominata ‘Pilastro di Difesa’ l'aviazione
israeliana ha colpito 1.350 "siti terroristici". La scorsa notte ne
sono stati centrati un’ottantina: fra questi rampe di lanciarazzi sotterranei;
tunnel; basi di addestramento; cellule attive nel lancio di razzi. "Hamas
ha trasformato Gaza in una postazione avanzata al servizio dell'Iran",
afferma il comunicato.
Israele ha pure cercato di interferire nelle
trasmissioni della al-Aqsa Tv, un’emittente di Hamas, dopo essersi impadronita delle
frequenze radio e avere colpito due antenne sui tetti di due grattacieli di
Gaza, che, secondo i militari, Hamas utilizzava a fini operativi.
Per la tregua, sia Israele che Hamas pongono
condizioni: Israele vuole che sia di "lunga durata", che riguardi
solo la Striscia di Gaza, che preveda la fine del lancio di razzi sul suo
territorio e che sia garantita dall'Egitto (per il nuovo corso del presidente
Morsi, la crisi è una ‘prova del nove’ d’affidabilità e credibilità sul piano
internazionale). Hamas vuole la fine dell'embargo a Gaza e chiede lo stop delle
uccisioni mirate.
Dall’altra parte del Mondo, in Asia, il presidente
statunitense intraprende un viaggio “storico” (e non è solo un luogo comune”):
nel giro di una giornata, Barack Obama diventa il primo presidente Usa a
mettere piede in Birmania e in Cambogia.
L’ ‘Obama 2’ comincia nel segno della politica
estera: in parte, una scelta voluta dal presidente, che, appena confermato alla
Casa Bianca per il prossimo quadriennio, intraprende un viaggio in Asia
obbligato, in occasione del Vertice dell’Apec, appuntamento annuale dei Paesi
che s’affacciano sul Pacifico, ma con tappe inconsuete; e, in parte, una scelta
subita, perché Obama, della fiammata di tensione in Medio Oriente tra
israeliani e palestinesi avrebbe sicuramente fatto volentieri a meno.
Quella di Obama in Birmania è una visita lampo,
perché la sera è già in Cambogia per il Vertice dell’Apec. Ma è una visita che
lascia il segno, in un Paese che, fino a pochi mesi or sono, era uno delle
retroguardie della dittatura nel Mondo: accolto da decine di migliaia di
cittadini festanti, incontra il capo dello Stato Thein Sein e poi la leader
dell’opposizione Aung San Suu Kyi, finalmente non più tenuta agli arresti
domiciliari: è il secondo colloquio fra i due Nobel per la Pace, lei nel 1991,
lui nel 2009, dopo quello del settembre scorso alla Casa Bianca.
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