Scritto per l'Indro il 28/11/2012
E’ piena di spine, la
rosa dell’ ‘Obama2’, che pure, a rigor di calendario istituzionale, non è
ancora cominciato. Il secondo mandato del presidente nero inizierà il 20
gennaio, con il re-insediamento alla Casa Bianca. Ma che, di fatto, s’è avviato
subito dopo l’Election Day, il 6 novembre. Il primo sussulto è stato il momento
di tensione tra israeliani e palestinesi, che ha coinciso con una missione in
Asia di Barack Obama. E, ora, l’Amministrazione democratica sta negoziando con
il Congresso per evitare una cura d’austerità forzata ai cittadini americani:
la Camera è controllata dall’opposizione repubblicana, che, però, lunedì ha
aperto uno spiraglio riconoscendo l’opportunità di maggiori entrate fiscale.
Un’ammissione fatta a labbra semi-chiuse e imbarazzante, per tutti quei deputati
‘scuola Tea Party’ che si sono impegnati a non aumentare le tasse. Ma tant’è!,
le elezioni sono appena passate: chi è stato eletto è sicuro del proprio posto
per i prossimi due anni: e se qualcuno deve rimangiarsi una promessa, meglio farlo
ora, che la gente se ne può dimenticare, che più avanti.
Per l’Amministrazione
Obama, il problema più grosso è quello che viene comunemente definito ‘fiscal
cliff’: la trattativa va chiusa entro la fine dell’anno, quindi con il
Congresso uscente, perché quello nuovo, uscito dal voto di novembre,
s’insedierà solo ai primi di gennaio. E,
a quel punto, giochi e guai saranno già fatti. Su un altro fronte, la Corte
Suprema ha appena giudicato ammissibile l’ennesimo ricorso contro la riforma
sanitaria, la cosiddetta ‘Obamacare’.
Il presidente deve
inoltre pensare a rinnovare la sua squadra: se ne andranno, fra gli altri, due
pezzi da novanta, il segretario di Stato Hillary Clinton e il segretario al
Tesoro Timothy Geithner. Al Senato, i repubblicani stanno già impallinando
Susan Rice, ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite e in pole position per
succedere alla Clinton. La Rice –è l’accusa- non sarebbe stata sincera
sull’attacco al consolato di Bengasi a settembre, costato la vita a quattro
americani, fra cui l’ambasciatore Chris Stevens. La Casa Bianca le ha invece
confermato la fiducia (e un senatore repubblicano autorevole, John McCain, candidato
alla Casa Bianca nel 2008, ha un po’ smussato le sue critiche).
Sul piano
economico-finanziario, Obama ha rapidamente ovviato alle dimissioni di Mary
Schapiro alla testa della Sec, la Consob americana, sostituendola con un’altra
donna, Elisse Walter. Invece, s’annuncia più delicata la sostituzione di Geithner.
In soccorso al presidente, e non solo su questo, viene Warren Buffet, l’uomo
più ricco d’America, che indica il miglior candidato nell’amministratore
delegato di JPMorgan Jamie Dimon. Intervistato dalla Pbs, Buffett dice "Se
dovessimo avere problemi sui mercati, ritengo che Dimon sarebbe il migliore nel
ruolo”, perché –spiega- “i leader del mondo hanno fiducia in lui". L’
‘endorsement’ di Buffett dovrebbe fare piacere ad Obama: Dimon è stato definito
dal New York Times il "banchiere preferito" dalla Casa Bianca.
Il presidente deve
pure badare ai fronti internazionali: con la Cina, Washington preme perché Pechino
intensifichi la rivalutazione della yuan, anche se l’Amministrazione
democratica evita, finora, di bollare gli interlocutori cinesi come “manipolatori
dei tassi di cambio”. Lo fece, invece, Mitt Romney, il candidato repubblicano,
in campagna elettorale. Quanto all’Egitto, l’intesa appena trovata con il presidente
Mohamed Morsi, nei giorni cruenti della crisi israeliano-palestinese, viene
messa alla prova dalla deriva autoritaria del suo regime.
Ma l’attenzione è
soprattutto rivolta ai negoziati economico-finanziari con il Congresso:
obiettivo, evitare tagli della spesa drammatici e sgravi fiscali per i soli
ricchi, nella scia dei regali fatti dall’Amministrazione Bush ai paperoni
d’America. Oggi, Obama consulta le imprese americane: ci sono, fra gli altri e
senz’ordine, gli amministratori delegati di Goldman sachs Lloyd Blankfein,
Merck Kenneth Frazier, Yahoo Marissa Mayer, Caterpillar Doug Oberhelman, Pfizer
Ian Read, AT&T Randall Stephenson, Deloitte LLP Joe Echevarria e CocaCola Muhtar
Kent. Il presidente spinge perché il Congresso estenda i tagli delle tasse alle
imprese, nel tentativo di favorire produttività e occupazione. Se non ci sarà
un accordo tra l’Amministrazione e Camera e Senato, scatteranno, nel 2013,
aumenti delle tasse e tagli delle spese per ridurre il debito.
Obama cerca
l'appoggio delle grandi aziende alle sue proposte, che saranno illustrate poi
venerdì, durante la visita a una società della Pennsylvania. Anche in questo
caso, Buffett gli viene in aiuto, anzi lo scavalca: sul New York Times, ha
prospettato “una tassa minima per i più ricchi, cioè 30% del reddito
imponibile" per chi guadagna fra uno e dieci milioni di dollari l'anno e 35%
per chi guadagna di più.
In campagna
elettorale, Buffett aveva messo in difficoltà il repubblicano Romney,
denunciando che chi trae i propri guadagni da operazioni finanziarie paga
appena il 15% di tasse, la metà di quanto pagano i suoi dipendenti. E il miliardario
democratico sostiene: "Una regola semplice come questa bloccherebbe gli
sforzi di lobbisti e avvocati per cercare di far sì che i più abbienti siano
sottoposti ad aliquote fiscali inferiori a quelle di chi guadagna solo una
piccola frazione del loro reddito". Ma è difficile che i repubblicani in
Congresso prestino ascolto a Buffett, dopo avere fatto orecchie da mercante ad
Obama.
giovedì 29 novembre 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento