Un voto per l’America, ma anche
un voto per l’Europa e per il Mondo: l’elezione del presidente degli Stati
Uniti conserva una portata planetaria di gran lunga superiore a qualsiasi altra
elezione nazionale. La scelta tra il presidente democratico Barack Obama, il
primo nero alla Casa Bianca, e lo sfidante repubblicano Mitt Romney non
determinerà solo la direzione politica ed economica Usa nei prossimi quattro
anni, ma condizionerà tutti gli equilibri internazionali e, in ultima analisi,
anche le prospettive di pace e guerra.
Logico, quindi, che l’Unione
europea, in particolare, guardi con attenzione e pure apprensione all’esito
della consultazione. Obama è percepito come più vicino alla sensibilità e alle
priorità dell’Europa tradizionale partner ed alleato dell’America. Romney ha
assunto posizioni più critiche e ha avuto accenti sprezzanti, almeno nei
confronti di alcuni Paesi Ue, Grecia, Spagna, Italia. Ma c’è sempre uno iato
tra il candidato e il presidente: con Obama, lo si è già misurato; con Romney andrebbe
esplorato.
Negli Stati Uniti, questi sono
gli ultimi scampoli della campagna elettorale: domani si va alle urne per scegliere
il presidente e, inoltre, per rinnovare la Camera e un terzo del Senato, rinnovare
i governatori di diversi Stati e numerose assemblee statali e locali,
pronunciarsi su una miriade di referendum a vario livello.
I sondaggi indicano che l'esito
della corsa alla Casa Bianca è incerto: c’è sostanziale equilibrio, almeno
nelle intenzioni di voto a livello nazionale, ma il presidente appare in
vantaggio nella conta dei Grandi Elettori, cioè nel computo dei voti elettorali
dei singoli Stati, che sono quelli che contano. Il collegio elettorale è
composto da 538 Grandi Elettori: ce ne vogliono 270 per vincere.
Negli ultimi giorni, la risposta
dell’Amministrazione ai lutti e alle devastazioni dell’uragano Sandy ha dato
una scossa positiva alla credibilità e al prestigio di Obama presidente, ma il
sostegno a Romney è comunque alto negli Stati cruciali che decideranno il
risultato del confronto: i due che, più degli altri, hanno le chiavi della Casa
Bianca sono l’Ohio, dove Obama è avanti, e la Florida, dove l’equilibrio è
massimo. Al presidente, può bastarne uno dei due; lo sfidante deve invece farvi
l’en plein.
La conferma di Obama o la
vittoria di Romney è nelle schede degli indecisi –appena un ventesimo degli
elettori, a questo punto-, che prenderanno una decisione all'ultimo minuto (e
molti, alla fine, decidono di non decidere, cioè di non votare). Una
caratterista peculiare di questa campagna è, secondo i ricercatori dell’Ispi,
l’Istituto di studi politici internazionali, che gli indecisi 2012 non sono
elettori di centro: sui temi nodali, non sembrano cioè avere posizioni moderate
tanto che appare stavolta “parzialmente fuorviante la vecchia idea secondo cui
la Casa Bianca si vince spostandosi verso il centro”.
Più importante, invece, sembra
essere oggi
la capacità di mobilitare appieno il
proprio elettorato, anche a costo di radicalizzare toni e contenuti della
proposta politica, come ha fatto, almeno durante le primarie, con una certa
efficacia Romney. Dopo avere ancora compiaciuto gli ultra-conservatori,
scegliendo come proprio vice Paul Ryan, l’ex governatore del Massachusetts s’è
però ‘ricentrato’, almeno nei dibattiti televisivi.
Temi chiave della campagna
elettorale sono stati soprattutto quelli di politica interna, l'economia,
l'occupazione, la sanità e i tagli al deficit pubblico, mentre i temi di politica
estera sono stati secondari e concentrati principalmente attorno alla Cina, al
nucleare iraniano, alle delicate relazioni con Israele e alla questione
terrorismo internazionale.
Per gli esperti dell’Ispi, la
retorica dei due possibili presidenti potrebbe rivelarsi, in futuro, diversa da
quella della campagna, condizionata dalla polarizzazione dell'elettorato. Ma un
dato appare incontrovertibile: quello di un'America divisa, come poche altre
volte in passato, che potrà attraversare una fase di "introversione
politica" data da diversi fattori, dalle difficoltà economiche, alle
trasformazioni sociali, al relativo declino internazionale.
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