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giovedì 8 novembre 2012

Usa 2012; Obama rieletto, vittoria netta, manbassa di Stati in bilico

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 08/11/2012

Con una raffica di tweet ed una foto stile ‘bacio a Times Square’ dell’abbraccio liberatorio tra lui e la moglie Michelle, Barack Obama ha annunciato la sua rielezione a presidente degli Stati Uniti: “Quattro anni ancora”, “Quattro anni ancora insieme”. L’Unione europea si congratula e in fondo tira un sospiro di sollievo; e il Mondo fa lo stesso: meglio avere ancora a che fare con il ‘vecchio’ Obama, 51 anni, che con il ‘nuovo’ Mitt Romney, 65. L’America la pensa allo stesso modo: dà un secondo mandato al primo nero alla Casa Bianca, con un verdetto più netto del previsto, in termini di Grandi Elettori (303 a 206, quando restano da collocare i 29 ormai ininfluenti della Florida), e anche con la maggioranza, neppure risicata, del voto popolare.

Nella decina di Stati in bilico alla vigilia, Obama ha fatto quasi manbassa, lasciando al suo rivale solo la North Carolina, con l’incognita della Florida: s’è imposto in New Hampshire e Pennsylvania, in Michigan e Wisconsin, in Nevada e Colorado; ed ha fatto pure suoi lo Iowa, l’Ohio contesissimo e la Virginia dall’equilibrio esasperato.

Al candidato repubblicano, resta la consolazione d’una larga affermazione nella fascia della Bibbia e nel Sud, nelle Grandi Pianure e lungo le Montagne Rocciose. E, rispetto alla vittoria di Obama quasi a valanga nel 2008 su John McCain, Romney recupera la North Carolina e l’Indiana: non gran che come bottino, comunque non abbastanza per rovesciare il verdetto. Il distacco è così netto che Obama avrebbe vinto anche perdendo nei tre Stati considerati chiave, Ohio, Virginia e Florida: sottraendo ai suoi 303 Grandi Elettori acquisiti i 18 dell’Ohio e i 13 della Virginia, ne restano 272, più della maggioranza necessaria di 270 sui 538 del Collegio Elettorale.

A livello nazionale, Obama, alla fine, l’ha spuntata, dopo essere stato sotto nei conteggi fino a notte (il fatto è che arrivano prima i risultati degli scrutini delle zone di campagna meno densamente abitate, dove i repubblicani sono più forti): i dati per ora disponibili parlano del 50,2% dei suffragi a Obama, che ottiene, quindi, la maggioranza assoluta dei voti espressi, contro il 48,3% a Romney, con uno scarto di 2,5 milioni di schede. Secondo il Washington Post 61,7 milioni di suffragi contro 59,3, per oltre 120 milioni di votanti: un’affluenza buona, ma inferiore a quella del 2008, quando la capacità di mobilitazione della campagna di Obama era stata superiore.

Tutti i dati sono ancora provvisori: lo spoglio, ad esempio, dei voti per posta non è ancora ultimato; e gli stuoli di avvocati messi in campo dalle due campagne hanno prodotte contestazioni puntuali, ma nulla che metta in discussione il risultato delle elezioni.

Le analisi dei prossimi giorni diranno in che misura i giovani e le donne sono stati ‘obamiami’, oppure gli anziani e gli uomini ‘romnyani’; e in che misura i neri e i latini hanno sostenuto Obama. Un fattore importante della vittoria del presidente è stata l’affluenza alle urne, che s’era delineata piuttosto alta per i canoni americani, specie negli Stati in bilico e anche là dove l’uragano Sandy aveva colpito a fine ottobre: Obama ha saputo superare, in una campagna durata quasi un anno e mezzo, il momento di crisi, all’inizio d’ottobre, dopo il primo duello in diretta tv con Romney, dal quale era uscito nettamente sconfitto. Mentre la risposta offerta dall’Amministrazione democratica alle minacce e alle devastazioni dell’uragano Sandy, a fine ottobre, ha ravvivato in molti americani le doti di comandante in capo dell’inquilino della Casa Bianca, l’uomo che ha eliminato Osama bin Laden, il ‘nemico pubblico numero 1’, anche se non ha ancora sconfitto la crisi.

L’immagine dell’America che esce dal voto è quella di un Paese diviso, dove la Camera, totalmente rinnovata, ricalca la precedente nella composizione, con una netta maggioranza repubblicana, mentre il Senato, rinnovato per un terzo, resta sotto il controllo dei democratici, che recuperano pure il seggio feticcio del Massachusetts occupato per oltre trent’anni da Ted Kennedy e strappato loro dai repubblicani alla sua morte, ma che non ottengono la maggioranza di blocco dell’ostruzionismo dell’opposizione.
Anche i risultati di alcuni degli oltre 170 referendum locali danno l’immagine d’un’America a tratti schizofrenica tra diritto alla vita e pena di morte, difesa dei valori tradizionali e lassismo. Così, la democraticissima California decide di mantenere la pena di morte e la Florida incerta avalla il finanziamento pubblico per l’aborto, mentre Stato di Washington e Colorado legalizzano il consumo di marijuana e New Hampshire e Maine legalizzano le coppie omosessuali.

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