Con una raffica di tweet ed
una foto stile ‘bacio a Times Square’ dell’abbraccio liberatorio tra lui e la
moglie Michelle, Barack Obama ha annunciato la sua rielezione a presidente
degli Stati Uniti: “Quattro anni ancora”, “Quattro anni ancora insieme”. L’Unione europea si congratula e in fondo tira un
sospiro di sollievo; e il Mondo fa lo stesso: meglio avere ancora a che fare
con il ‘vecchio’ Obama, 51 anni, che con il ‘nuovo’ Mitt Romney, 65. L’America
la pensa allo stesso modo: dà un secondo mandato al primo nero alla Casa
Bianca, con un verdetto più netto del previsto, in termini di Grandi Elettori
(303 a 206, quando restano da collocare i 29 ormai ininfluenti della Florida),
e anche con la maggioranza, neppure risicata, del voto popolare.
Nella decina di Stati in bilico alla
vigilia, Obama ha fatto quasi manbassa, lasciando al suo rivale solo la North
Carolina, con l’incognita della Florida: s’è imposto in New Hampshire e
Pennsylvania, in Michigan e Wisconsin, in Nevada e Colorado; ed ha fatto pure
suoi lo Iowa, l’Ohio contesissimo e la Virginia dall’equilibrio esasperato.
Al candidato repubblicano, resta la
consolazione d’una larga affermazione nella fascia della Bibbia e nel Sud, nelle Grandi Pianure e lungo le Montagne
Rocciose. E, rispetto alla vittoria di Obama quasi a valanga nel 2008 su John
McCain, Romney recupera la North Carolina e l’Indiana: non gran che come
bottino, comunque non abbastanza per rovesciare il verdetto. Il distacco è così
netto che Obama avrebbe vinto anche perdendo nei tre Stati considerati chiave,
Ohio, Virginia e Florida: sottraendo ai suoi 303 Grandi Elettori acquisiti i 18
dell’Ohio e i 13 della Virginia, ne restano 272, più della maggioranza
necessaria di 270 sui 538 del Collegio Elettorale.
A livello nazionale, Obama, alla fine, l’ha spuntata, dopo
essere stato sotto nei conteggi fino a notte (il fatto è che arrivano prima i
risultati degli scrutini delle zone di campagna meno densamente abitate, dove i
repubblicani sono più forti): i dati per ora disponibili parlano del 50,2% dei
suffragi a Obama, che ottiene, quindi, la maggioranza assoluta dei voti
espressi, contro il 48,3% a Romney, con uno scarto di 2,5 milioni di schede.
Secondo il Washington Post 61,7 milioni di suffragi contro 59,3, per oltre 120
milioni di votanti: un’affluenza buona, ma inferiore a quella del 2008, quando
la capacità di mobilitazione della campagna di Obama era stata superiore.
Tutti i dati sono ancora provvisori: lo spoglio, ad
esempio, dei voti per posta non è ancora ultimato; e gli stuoli di avvocati
messi in campo dalle due campagne hanno prodotte contestazioni puntuali, ma
nulla che metta in discussione il risultato delle elezioni.
Le analisi dei prossimi giorni diranno in che misura i
giovani e le donne sono stati ‘obamiami’, oppure gli anziani e gli uomini
‘romnyani’; e in che misura i neri e i latini hanno sostenuto Obama. Un fattore
importante della vittoria del presidente è stata l’affluenza alle urne, che
s’era delineata piuttosto alta per i canoni americani, specie negli Stati in
bilico e anche là dove l’uragano Sandy aveva colpito a fine ottobre: Obama ha saputo superare, in una campagna durata quasi un anno e mezzo, il momento di
crisi, all’inizio d’ottobre, dopo il primo duello in diretta tv con Romney, dal
quale era uscito nettamente sconfitto. Mentre la risposta
offerta dall’Amministrazione democratica alle minacce e alle devastazioni
dell’uragano Sandy, a fine ottobre, ha ravvivato in molti
americani le doti di comandante in capo dell’inquilino della Casa Bianca, l’uomo
che ha eliminato Osama bin Laden, il ‘nemico pubblico numero 1’, anche se non
ha ancora sconfitto la crisi.
L’immagine dell’America che esce dal voto è quella di un
Paese diviso, dove la Camera, totalmente rinnovata, ricalca la precedente nella
composizione, con una netta maggioranza repubblicana, mentre il Senato,
rinnovato per un terzo, resta sotto il controllo dei democratici, che
recuperano pure il seggio feticcio del Massachusetts occupato per oltre
trent’anni da Ted Kennedy e strappato loro dai repubblicani alla sua morte, ma
che non ottengono la maggioranza di blocco dell’ostruzionismo dell’opposizione.
Anche i risultati di alcuni degli oltre 170 referendum
locali danno l’immagine d’un’America a tratti schizofrenica tra diritto alla
vita e pena di morte, difesa dei valori tradizionali e lassismo. Così, la
democraticissima California decide di mantenere la pena di morte e la Florida
incerta avalla il finanziamento pubblico per l’aborto, mentre Stato di
Washington e Colorado legalizzano il consumo di marijuana e New Hampshire e
Maine legalizzano le coppie omosessuali.
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