Barack
Hussein Obama, 4 agosto
1961, 44° presidente Stati Uniti – Se vincerà Obama, all’alba del 7
novembre il Mondo non sarà un posto peggiore, anche se il primo nero alla Casa
Bianca non è stato, come presidente, alla pari con le attese messianiche che la
sua campagna 2008 e il suo slogan, ‘Yes, we can’, avevano suscitato in tutto il
Pianeta. E pure l’Obama candidato 2012 non è stato così visionario e così
coinvolgente come quello di quattro anni or sono. Rapidamente incanutito dal
peso della responsabilità, Obama pare avvertire la delusione sua e dei suoi
sostenitori per non essere riuscito a realizzare tutto quello che aveva
promesso e che sperava di fare e sembra misurare le difficoltà di realizzare i
suoi progetti, specie quando il Congresso gli è a metà contro.
L’uomo
che voleva restituire agli Stati Uniti un rispetto internazionale non affidato
solo alle torrette dei carri-armati e che voleva dare a tutti gli americani la
sicurezza di un’assistenza sanitaria ha centrato questi obiettivi, aprendo al dialogo
con il Mondo arabo e con l’Islam moderato, ritirando le truppe da combattimento
dall’Iraq e programmando il ritiro dall’Afghanistan. Sono risultati che gli
sono valsi, a priori, il Nobel per la Pace, assegnatogli ‘sulla fiducia’ nel
2009, «per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia
internazionale e la cooperazione tra i popoli; e che, ancora oggi, gli
confermano un ampio sostegno internazionale. E vero che le diplomazie
antepongono l’usato sicuro al nuovo incerto, ma le percentuali con cui gli
europei e il mondo arabo lo preferiscono al suo rivale Mitt Romney in altri
tempi si sarebbero dette bulgare. Solo Israele gli resta freddo: si sente più
protetto da Romney, che non mette paletti all’alleato mediorientale.
Ma la
presidenza di Obama, e il giudizio che ne daranno gli elettori, sono stati
totalmente segnati dalla crisi economica, che l’Amministrazione repubblicana
gli consegnò in eredità: quando Obama s’insediò alla Casa Bianca il 20 gennaio
2009, il tasso di disoccupazione negli Usa era del 7,8% e salì subito sopra
l’8%, rimanendovi per 43 mesi consecutivi, tre anni e mezzo abbondanti, il
periodo più lungo da quando, nel 1948, i dati vengono raccolti e classificati.
Adesso, sono 25 mesi consecutivi, oltre due anni, che l’occupazione aumenta
mese dopo mese: in estate il tasso è sceso sotto l’8%, a settembre era al 7,8%,
ora è tornato d’un decimo su rispetto all’inizio della presidenza. E resta il
fatto che nessun presidente americano è mai stato rieletto con una
disoccupazione così elevata, ad eccezione di Franklyn Delano Rossevelt, il
democratico che si trovò a rimettere in piedi l’economia dopo il crollo del
1929.
Nato
alle Hawaii, padre di origine kenyana, Obama ha una storia politica breve:
durante gli studi alla Columbia University e alla Harvard Law School, fu organizzatore
e attivista politico nella sua Chicago, nella scia di quel Saul Alinski che
ebbe uno stretto rapporto con Jacques Maritain. Lavorò come avvocato nella
difesa dei diritti civili e fu docente universitario di diritto costituzionale dal
1992 al 2004.
Senatore
dello Stato dell’Illinois a tre riprese dal 1997 al 2004, Obama provò nel 2000 ad
approdare a Washington, alla Camera, ma fallì. Divenne invece senatore dell’Illinois
al Senato di Washington nel 2004: quell’anno, John Kerry, candidato democratico
alla Casa Bianca, gli affidò il discorso più importante alla convention
democratica. Al Senato, Obama non fece neppure in tempo a concludere un
mandato: si dimise dopo l’elezione a presidente il 4 novembre 2008.
Per
arrivare alla Casa Bianca, gli fu più difficile avere la meglio, nelle
primarie, di Hillary Rodham Clinton, ex first lady, poi punto di forza della
sua Amministrazione al Dipartimento di Stato, che battere il rivale
repubblicano John McCain. La crisi, allora, gli diede una mano: nonostante
McCain fosse il meno ‘bushiano’ dei repubblicani, l’avvicendamento apparve, a
quel punto, inevitabile. Oggi, la stessa crisi potrebbe condannarlo. Ma, ancora
una volta, i repubblicani gli danno una mano: la promessa di Romney di creare
12 milioni di posti di lavoro appare una spacconata e le ricette economiche
ultra-reaganiane del suo vice Paul Ryan spaventano la classe media e lusingano
solo l’un per cento degli americani più ricchi.
Una
mano gliela dà pure la famiglia: Michelle Robinson, avvocato anch’essa, è una
first lady molto popolare –due le figlie: Malia, 14 anni, e Sasha, 11-. A
sposarli, nel 1992, fu il reverendo Jeremiah Wright, un personaggio
controverso, la cui influenza su Barack, cresciuto in un ambiente non religioso,
è molto discussa.
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