P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

giovedì 8 novembre 2012

Usa 2012: Obama rieletto; Romney, soldi tanti, carisma zero

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 08/11/2012

Troppo moderato per piacere davvero ai conservatori; e troppo conservatore per sedurre gli indecisi
di centro; troppo algido e ‘predestinato’ per comunicare con l’America profonda; troppo mormone
e, nel contempo, troppo laico per scaldare l’animo degli evangelici ultra-religiosi. Aveva un sacco
di handicap in partenza, la campagna presidenziale di Mitt Romney, 65 anni, figlio d’arte –il padre
fu governatore del Michigan e tentò anch’egli la corsa alla Casa Bianca, la madre provò a diventare
senatore, uomo d’affari di successo e finanziere abbastanza spregiudicato, almeno verso il fisco,
organizzatore delle Olimpiadi d’Inverno a Salt Lake City, governatore del Massachusetts.

Eppure, Romney, a un certo punto, dava l’impressione di potercela fare: nonostante le gaffes -
alcune devastanti - e la fama da ‘flip-flop’, noi diremmo ‘girella’, ed il paradosso dell’ostracismo
alla riforma sanitaria nazionale di Barack Obama ricalcata su quella da lui attuata in Massachusetts.

A tradirlo, negli ultimi giorni, è stata la voglia dell’America di andare avanti, forward, come diceva
lo slogan elettorale di Barack Obama, 51 anni. Lui puntava sul cambiamento, quello vero -diceva-, real,
giocando su un tema cavalcato nel 2008 dal suo rivale. Gli elettori hanno deciso di dare altri 4 anni
al presidente nero per realizzare il suo cambiamento, perché hanno capito che il nuovo di Romney
era un andare indietro, alle vecchie ricette del liberismo reaganiano, per di più con i toni esasperati
del populismo Tea Party corteggiato dal suo vice Paul Ryan. E c’era pure il rischio di ripiombare
nelle melassa finanziaria dell’era Bush, finita come tutti ricordano con lo scoppio di questa crisi.

Il giorno dopo la sconfitta, ci sono, fra i repubblicani, quelli che sentenziano d’avere saputo “fin
dall’inizio che un candidato mediocre non sarebbe bastato”, contro un presidente magari appannato
ma sempre carismatico. E, di carisma, Romney proprio non ne ha: anche il discorso di ammissione
della sconfitta, sarà pure stato fatto di mala voglia, comprensibilmente, ma non andava oltre il 6
meno. E c’è chi se la prende con l’altra metà dell’America, quella che vive la normalità della crisi e
accetta, quindi, le ricette di Obama.

Carl Cameron, un analista di Fox News, la tv ‘all news’ del gruppo Murdoch che ha fiancheggiato
tutta la campagna del ticket Romney–Ryan, denuncia “carenze di conservatorismo” nel programma
del duo; e segnala come un errore l’avere puntato tutto e solo sull’economia, senza sfidare Obama
né sui valori –l’aborto o i matrimoni omosessuali- né sulla politica estera –ma a che cosa poteva
aggrapparsi lì Romney, che, per altro, non ne sa nulla?-.

Sta di fatto che il milionario mormone ha perso in tutte le sue roccaforti personali: nel Michigan,
dove la famiglia era una potenza, e nel New Hampshire, dove ha lanciato la sua campagna, e pure
nel Massachusetts, dove è stato governatore. Ha vinto solo nello Utah, lo stato mormone, una botte
di ferro da sempre per i repubblicani: perdere lì, sarebbe stato davvero il colmo.

C’è ancora un futuro in politica per Romney? Dopo la sconfitta nelle primarie del 2008, la moglie,
Ann, aveva detto che quella era l’ultima volta. Due anni dopo, lo incitava a riprovarci. Ma, adesso,
pare proprio la fine della corsa. Anche perché, in vista delle presidenziali 2016, il partito deve porsi
degli interrogativi: migliorare il proprio rapporto con le minoranza americane, specie neri e latini,
ed allargare la propria base demografica, che va restringendosi agli uomini bianchi sopra i 65 anni;
evitare di identificarsi con il Tea Party, la cui presa sull’elettorato s’è attenuata (un senatore è stato
sconfitto nell’Indiana, mentre Michelle Bachmann, deputata simbolo del movimento populista,
faticava nel Minnesota a mantenere il seggio alla Camera).

La linea del confronto duro Amministrazione–opposizione, praticata negli ultimi due anni, potrebbe
essere rivista: Obama non è più il nemico da abbattere, perché nel 2016 sarà fuori gioco; e cercare di costruire può rendere più credibili che limitarsi a distruggere. Lo si vedrà dai negoziati su debito
e bilancio che vanno conclusi entro fine anno.

Romney prova a darsi un ruolo, offrendosi come interlocutore del presidente che accetta. Ma dietro
di lui già spuntano gli aspiranti alla nomination 2016: personaggi che erano potenziali protagonisti
questa volta, ma che si sono tirati indietro, come gli ex governatori Mike Huckabee e Sarah Palin; o
giovani rimasti alla finestra, come il senatore Marco Rubio o il governatore Chris Christie; o, infine,
astri nascenti, come il vice di Romney Ryan, se la sconfitta del capo non l’avrà bruciato.

Nessun commento:

Posta un commento