C’è un angolo di Mondo dove i tamburi di guerra non la
smettono mai di rullare. E da dove, talora, arriva pure il botto: una gragnola
di missili sparati un po’ a caso, perché la mira è approssimativa; o un test
nucleare un po’ artigianale, perché la tecnologia è quel che è. Nella penisola
di Corea, dove tra il 1950 e il ’53 la Guerra
Fredda divenne calda, non c’è mai da stare tranquilli, nonostante
si tenda sempre a non credere alle sparate del regime di Pyongyang, spesso più
propaganda interna che concreta minaccia: con il fatto che nessuno sa bene che
cosa succeda dentro quel Paese, nessuno può mai prevederne con certezza le
mosse.
Ieri, il leader Kim Jong-un, figlio di leader e nipote di
leader, tanto per dare l’idea di un passaggio del potere dinastico, ha ordinato
d’intensificare i preparativi nelle sue basi di missili a medio-lungo raggio,
inducendo la Corea
del Sud ad aumentare il livello di guardia e mettendo sul chi vive Pechino,
Mosca e, ovviamente, Seul e Washington.
L’imprevedibilità della Corea del Nord non consente di
escludere che gli ordini d’allerta impartiti alle unità lancia missili si
traducano in attacchi contro le basi Usa nel Sud del Pacifico e nella Corea del
Sud, come risposta all'invio di bombardieri americani B-2 Stealth –
potenzialmente armati con ogive nucleari - alle manovre congiunte in corso
americano/coreane.
In caso di provocazione “temeraria” degli americani, le
forze nord-coreane “dovranno colpire senza pietà il continente americano …, le
basi militari del Pacifico, comprese le Hawaii e Guam, e quelle che si trovano
nella Corea del Sud”, ha ordinato Kim, secondo quanto riferisce l’agenzia
ufficiale Kcna, che ha diffuso una foto del leader con in mano un piano
d’attacco agli Stati Uniti.
E poco importa che Pyongyang non sia probabilmente in grado
di mettere in pratica la minaccia: l’inquietudine è alta da settimane nella
penisola coreana, dopo che il terzo e ultimo test nucleare nord-coreano è stato
‘punito’ dall’Onu e dagli Usa, all’inizio del mese, con supplementi di
sanzioni.
Mentre le diplomazie sciorinavano comunicati, decine di
migliaia di militari e civili sfilavano in corteo nel centro di Pyongyang per
testimoniare il loro appoggio alle decisioni del loro leader: levando in alto
il pugno chiuso, chiedevano di “colpire senza pietà” gli Stati Uniti.
Gli specialisti occidentali ritengono che la Corea del Nord non abbia la
tecnologia per raggiungere e centrare obiettivi con missili a lungo raggio. Ma
se un missile parte da qualche parte va a cadere. E fonti militari anonime
citate dall’agenzia sud-coreana Yonhap
rivelano che “un netto aumento” di movimenti di veicoli e di personale è
stato notato sui siti di lancio dei missili nord-coreani.
Non è chiaro se Kim abbia colto il pretesto dei voli
d’addestramento dei B-2 per mobilitare il consenso nel Paese o se il regime sia
stato davvero impressionato dallo sfoggio di quegli aerei temibili e concepiti
per missioni speciali di bombardamento strategico ad alta quota (fino a 15mila
metri) dietro le linee nemiche. Il Pentagono di solito non comunica le missioni
dei B-2, che possono sfuggire ai radar, viaggiano quasi alla velocità del suono
e caricano fino a 18 tonnellate d’armamento convenzionale o nucleare. Uno da
solo può fare più danni di tutto l’arsenale nord-coreano.
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