Tanto tuonò che piovve. Anzi, non ha neppure
tuonato tanto: è piovuto quasi subito. L'agenzia Fitch taglia il rating
dell'Italia da A- a Bbb+. E l'outlook è negativo. La decisione è stata presa,
spiega una nota di Fitch, per "i risultati inconcludenti delle elezioni politiche
del 24-25 febbraio", che "rendono improbabile la formazione nelle
prossime settimane di un nuovo governo". Inoltre, aggiunge l’agenzia,
"l'aumento dell'incertezza politica e il possibile stallo sulle riforme
strutturali costituiscono un ulteriore shock per l'economia reale nel bel mezzo
di una profonda recessione".
La scossa di terremoto, che arriva a
mercati europei chiusi, ma che era stato preceduto da brontolii e avvisaglie
nei giorni scorsi, non fa tremare solo l’Italia. Il declassamento di Fitch, che
s’allinea così al giudizio già espresso in passato dalle sue sorelle Standard
& Poor e Moody’s, spinge di nuovo l’euro sotto quota 1,30 nei confronti del
dollaro.
Quasi scontato il gioco di parole:
l’Italia è un Paese di serie B, per valutazione unanime. La fase d’attesa, più
o meno benevola, dopo l’esito del voto, è durata dieci giorni, durante i quali,
però, l’accento dei commenti s’è progressivamente spostato da ‘fiducia’ a ‘preoccupazione’,
mentre le manfrine politiche e partitiche davano concretezza all’incubo dell’instabilità.
E se Mario Draghi, presidente della Bce, considera che l’Italia abbia inserito
il pilota automatico sulla via delle riforme, la nebbia in cui ammette di
muoversi il presidente Giorgio Napolitano non induce alla serenità partner e operatori.
Tanto più che la percezione d’instabilità non
s’innesta davvero su un’economia reale sana e prospera. Anzi, Fitch rileva che la recessione in corso in Italia "è una
delle più profonde d'Europa" e che potrebbe ulteriormente aggravarsi a
causa "del calo dell'occupazione” superiore alle previsioni, mentre “gli
indicatori di fiducia continuano a essere deboli.
L'agenzia prevede che il debito pubblico
italiano toccherà il picco, quest'anno, giungendo al 130% del Pil, una
revisione peggiorativa rispetto alla precedente stima del 125%, mentre il Pil
si contrarrà dell'1,8%, più di quanto già paventato.
A volersi consolare, quella italiana resta, per
Fitch, un'economia "relativamente prospera e diversificata", con “moderati
livelli d’indebitamento privato". Roma, aggiunge l’agenzia, ha inoltre
fatto progressi considerevoli nel consolidamento del bilancio, con un rapporto
deficit/Pil destinato ad attestarsi al 2,5% quest'anno.
Ora, è chiaro che i giudizi delle agenzie di
rating sono volatili e neppure omogenei fra di loro. Pochi giorni fa, martedì
5, il responsabile europeo di S&P, Moritz Kraemer, diceva che lo stallo
politico non avrebbe avuto immediato impatto sul rating dell’Italia . Ed era
bastata quella battuta a dare smalto a Piazza Affari. “La nostra visione
-spiegava Kraemer- è che le politiche di bilancio rimarranno intatte e che
l'avanza primario sarà predominante", fermo restando che "la reale
sfida è sul fronte della crescita" e che "le scelte del prossimo
governo –ma quale?, ndr- saranno essenziali". Prima, a caldo, il 27 febbraio, Moody’s aveva
invece giudicato l’esito delle elezioni in Italia “pericoloso” per l’eurozona,
che ne usciva esposta “a ulteriori shock”.
L’Europa, a caldo, tace, dopo la sortita di
Fitch. In Italia, naturalmente, è rissa verbale. Come se litigarsi addosso, e
fare a di chi è la colpa, servisse a qualcosa. L’immarcescibile Brunetta ci
spiega subito che, per la retrocessione, dobbiamo ringraziare Bersani, che non
vuole alleare il Pd al Pdl. Mentre il serafico Tabacci si rivolge a Grillo, cui
la decisione di Fitch dovrebbe fare comprendere che “il nodo del Paese è avere
un governo” –e c’è bisogno di Fitch per capirlo?-. Quanto al Tesoro, legge con
un po’ di audacia nella nota di Fitch il riconoscimento
dei progressi compiuti.
'BBB+' è tre gradini sopra 'junk', spazzatura.
La retrocessione di ieri arriva oltre un anno dopo l’ultima di Fitch: il 27
gennaio 2012, l'agenzia declassò l’Italia ad 'A-' con outlook negativo.
Giudizio poi confermato in dicembre, quando, però, s’intravvedeva la
possibilità di migliorare le prospettive a stabili, se il voto avesse prodotto
un governo stabile.
Fu S&P la prima delle grandi agenzie a
strappare la 'A' all'Italia, tagliando di due gradini il rating a 'BBB+' il 13
gennaio 2012. Sei mesi dopo, il 13 luglio, arrivava la scure di Moody's: Mario
Monti, appena sbarcato a Sun Valley, Idaho, Usa, per la riunione di una
congrega di miliardari, dovette rassicurare i 'paperoni-investitori' americani dopo
il taglio del rating da A3 a Baa2. Adesso, chi lo farà?
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