Una volta, c’era da tremare quando le banche restavano
chiuse un giorno in più del solito. A Cipro, sono rimaste chiuse 12 giorni
filati: un blocco senza precedenti, almeno nell'Europa dell’euro, dettato dal
timore d’una fuga di capitali dopo l’accordo nell’Eurogruppo per il salvataggio
dell’isola. E, oggi, è stata la giornata dei sudori freddi: per paura di
disordini, guardie armate erano state schierate intorno alle filiali degli
istituti di credito, che hanno riaperto dalle 12 alle 18. Fuori, fin dal
mattino, code di persone in attesa di espletare le operazioni.
La riapertura è stata solo parziale: le misure restrittive
imposte ai movimenti di capitale resteranno infatti in vigore per almeno altri
sette giorni e Ue e Bce assicurano sorveglianza. La Borsa di Nicosia, che è
ferma dal 19 marzo, non ha ancora riaperto i battenti. Le altre europee
traversano la giornata senza danni, ma, per quanto riguarda l’Italia, lo spread
resta a quota 350.
Del resto, gli sviluppi della crisi di Cipro, complicata da
grossolani errori di strategia e di comunicazione dell’Eurogruppo e del suo
inesperto neo-presidente Jeroen Dijsselbloem –una lezione per i tedeschi:
essere olandesi non significa essere affidabili-, si svolgono nel contesto di
un’Europa che ovunque fatica a uscire dalla crisi. Lo conferma un rapporto
dell’Ocse pubblicato oggi, secondo cui la divergenza fra la Germania , l’unica a
crescere davvero, e gli altri Paesi della zona euro tende ad aumentare.
Fra i
Grandi del G8, l’Italia è quello che sta peggio: il Pil dell'Italia, calato del
3,7% nell'ultimo trimestre 2012, continua a contrarsi. E’ sceso dell’1,65% nel
primo trimestre del 2013, sta scendendo dell’1,5% nel secondo. Nonostante le
cifre, PierCarlo Padoan, vice-segretario generale Ocse e capo economista, si
dichiara fiducioso che tra fine 2013 e inizio 2014 la recessione finirà; ed
esclude che Cipro possa contagiare l’Italia e la Spagna , mentre solleva
dubbi sulla situazione della Slovenia.
Certo, in Italia i mercati e le agenzie di rating guardano
alla politica ed all'esito incerto delle consultazioni per il nuovo governo:
Moody’s –dicono tutti- ha il colpo in canna dell’ennesima
‘retrocessione’ e potrebbe ‘spararlo’ dopo la rinuncia a formare un Esecutivo
del leader Pd Pierluigi Bersani.
Da e su Cipro, è tutto un alternarsi di segnali d’emergenza
e di inviti alla calma. L’Fmi assicura che l’isola rappresenta “un caso unico”,
per le “dimensioni” abnormi del sistema creditizio e per la presenza massiccia
di denaro russo di dubbia provenienza. Ma spaventa la prospettiva di una sorta
di ‘crisi argentina’ dentro l’Eurozona, mentre la fuga di capitali che si vuole
impedire pare essere già avvenuta: 2,7 miliardi di euro portati via dalle
banche cipriote dall'inizio dell’anno.
Secondo alcuni esperti, del resto, il vero rischio non è
rappresentato dal ricorso altrove al
prelievo forzoso sui conti bancari: un pericolo maggiore verrebbe
proprio dal divieto di portare
all’estero grosse somme. Infatti, le misure restrittive sui capitali potrebbero
rivelarsi “un disastro" e, alla fine, potrebbero "portare all'uscita
del Paese dall'euro". L’analista Hugo Dixon nota che “una volta imposti, i
controlli sui movimenti dei capitali sono difficili da togliere". "In Irlanda - ricorda -, sono ancora
vigenti dopo anni. In Argentina, sono durati un anno". Cipro li ha fissati
per una settimana, ma questo termine non sarebbe credibile: l’Ue intende verificare
la necessità di un' estensione; e il ministro degli Esteri cipriota, Ioannis
Kasoulides, ammette che per rimuovere alcune delle misure che congelano i conti
potrebbe volerci "un mese circa".
Insomma, la crisi di Cipro mantiene febbrile l’Unione. E la
cacofonia dei commenti non rasserena il clima.
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