La linea d’onore del rispetto della parola data si
rivela un’italica maginot: crolla al primo soffio, come le case di Timmy e
Tommy. L’Italia decide di tenersi i marò e di non rimandarli in India, dopo la
‘licenza elettorale’ generosamente e –diciamolo pure- un po’
incomprensibilmente concessa loro il 22 febbraio per quattro settimane dalla
magistratura indiana.
Il governo italiano ce l’aveva fatta, a non
sbracare, per la prima licenza a fine anno, quando i marò tornarono a casa per
Natale e Capodanno. Eppure, allora c’era chi, come l’ex ministro della difesa
Ignazio La Russa ,
li voleva candidare, nella caccia senza vergogna a un pugno di voti
nazionalisti (e, francamente, fascisti).
Stavolta, l’opinione pubblica quasi non s’era
accorta del ritorno in patria di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che
non avevano più avuto diritto al valzer d’onore delle massime autorità,
presidente della Repubblica, premier, ministri. Anche per questo, la decisione
di sottrarsi all'impegno preso con le autorità indiane appare ancor più
gratuita e assurda.
Il ministro degli esteri Giulio Terzi dà l’annuncio
a sorpresa e spiega che l’Italia agisce così perché l’India viola le norme
internazionali, non accettando che i due marò siano giudicati qui da noi. E,
nell’attesa che un arbitrato risolva la controversia, i due militari restano in
patria. E, nell’attesa d’essere giudicati, tornano a lavorare. Terzi inoltra
una nota verbale al governo indiano, che evita commenti a caldo: Salman Kurshid,
ministro degli esteri, dimostra tutta la saggezza d’un Paese dalla diplomazia
millenaria dicendo che “non sarebbe bene reagire ora", “attendiamo gli
sviluppi”.
Ma è facile immaginare che il voltafaccia non
migliorerà le relazioni dell’Italia con l’India, già turbate, sul piano
economico e commerciale, dalle rivelazioni sulle pratiche di corruzione della
Finmeccanica per piazzare gli elicotteri Agusta-Westland. E allora resta
difficile capire perché e perché ora: per puntiglio giuridico?, o per ripicca,
dopo che l’India ha ricusato i nostri elicotteri?, o perché un governo agli
sgoccioli toglie una castagna dal fuoco a quello che verrà? Tutte solo ipotesi.
Girone e Latorre dicono all’unisono: “Siamo felici
di tornare a fare il nostro mestiere”. E, in tutto questo, nessuno, neppure
loro, neanche questa volta, si ricorda di dire una parola di consolazione e di
vicinanza ai familiari dei due pescatori indiani morti ammazzati il 15 febbraio
2012. Quella notte, i due fucilieri di Marina in servizio anti-pirateria sulla
nave commerciale Enrica Lexie spararono contro un peschereccio, scambiandolo
per un’imbarcazione di pirati e uccidendo due pescatori: l’episodio avvenne in
acque internazionali, al largo di Kochi, nello Stato del Kerala (Sud-Ovest
dell’India).
I due marò, che sostengono di avere tirato to solo
colpi di avvertimento in aria, furono fermati il 19, dopo che la nave era
entrata come se nulla fosse accaduto nel porto di Kochi. Condotti a terra,
Girone e Latorre iniziarono il loro controverso viaggio nel sistema giudiziario
indiano. Che, oggi, s’è bruscamente interrotto, fra i commenti di giubilo della
destra: il solito La Russa
e i suoi sodali Crosetto e Meloni commentano un “meglio tardi che mai”; la Polverini plaude; e il
ministro della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Palma, un ‘tecnico’, come
l’ambasciatore Terzi, li giudica “abili al servizio”.
Intendiamoci!, sul piano del diritto internazionale
molti giuristi avvalorano la richiesta italiana d’estradare e processare i due
marò, essendo il fatto avvenuto in acque internazionali. Ed è indubbio che la
giustizia indiana, specie quella statale, non abbia proprio bruciato i tempi
del giudizio (ma non è che noi possiamo dare lezione, in fatto di rapidità
della giustizia).
Proviamo piuttosto a pensare che cosa avremmo detto,
e che cosa avremmo fatto, a parti invertite: prima, se due militari di un Paese
terzo avessero ucciso nel Mediterraneo due pescatori italiani; e, poi, se il
Paese terzo avesse preteso di riprenderseli e processarli in proprio; e,
infine, se avesse fatto marameo alla nostra giustizia, tradendo la parola data.
Fuoco e fiamme, avremmo fatto.
Lo strappo dell’Italia sui marò è l’ennesimo colpo
di scena di una vicenda difficile e complicata, che, però, l’Italia aveva
gestito con equilibrio e correttezza, rivendicando la competenza giuridica per
un episodio che aveva coinvolto "organi dello Stato operanti nel contrasto
alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali". Fino al
30 maggio, Girone e Latorre erano rimasti sotto custodia; poi avevano ottenuto
di uscire su cauzione, godendo man mano di maggiore libertà.
Il 20 dicembre, mentre il tribunale di Kollam
continuava a rinviare l'avvio del processo, e mentre s’attendeva il verdetto
della Corte Suprema di New Delhi sulla giurisdizione del caso, i due marò
ottenevano, su cauzione e con dichiarazione giurata, una prima licenza di due
settimane per passare il Natale a casa. Rientravano in India il 4 gennaio. Il
18, la Corte Suprema
disponeva la creazione d’un tribunale speciale a New Delhi per vagliare la
questione della giurisdizione. Il 22 febbraio, la seconda licenza, che l’Italia
trasforma in un ‘libera tutti’.
be hai la memoria corta e te la rinfresco io .
RispondiEliminaFunivia del Cermis due piloti Americani Ammazzano quaranta italiani le convenzioni fanno si che gli americani vengano processati in America e l'Italia accetta.