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martedì 12 marzo 2013

Marò: India-Italia, libera tutti da vergogna internazionale

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/03/2013

La linea d’onore del rispetto della parola data si rivela un’italica maginot: crolla al primo soffio, come le case di Timmy e Tommy. L’Italia decide di tenersi i marò e di non rimandarli in India, dopo la ‘licenza elettorale’ generosamente e –diciamolo pure- un po’ incomprensibilmente concessa loro il 22 febbraio per quattro settimane dalla magistratura indiana.

Il governo italiano ce l’aveva fatta, a non sbracare, per la prima licenza a fine anno, quando i marò tornarono a casa per Natale e Capodanno. Eppure, allora c’era chi, come l’ex ministro della difesa Ignazio La Russa, li voleva candidare, nella caccia senza vergogna a un pugno di voti nazionalisti (e, francamente, fascisti).
Stavolta, l’opinione pubblica quasi non s’era accorta del ritorno in patria di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che non avevano più avuto diritto al valzer d’onore delle massime autorità, presidente della Repubblica, premier, ministri. Anche per questo, la decisione di sottrarsi all'impegno preso con le autorità indiane appare ancor più gratuita e assurda.

Il ministro degli esteri Giulio Terzi dà l’annuncio a sorpresa e spiega che l’Italia agisce così perché l’India viola le norme internazionali, non accettando che i due marò siano giudicati qui da noi. E, nell’attesa che un arbitrato risolva la controversia, i due militari restano in patria. E, nell’attesa d’essere giudicati, tornano a lavorare. Terzi inoltra una nota verbale al governo indiano, che evita commenti a caldo: Salman Kurshid, ministro degli esteri, dimostra tutta la saggezza d’un Paese dalla diplomazia millenaria dicendo che “non sarebbe bene reagire ora", “attendiamo gli sviluppi”.

Ma è facile immaginare che il voltafaccia non migliorerà le relazioni dell’Italia con l’India, già turbate, sul piano economico e commerciale, dalle rivelazioni sulle pratiche di corruzione della Finmeccanica per piazzare gli elicotteri Agusta-Westland. E allora resta difficile capire perché e perché ora: per puntiglio giuridico?, o per ripicca, dopo che l’India ha ricusato i nostri elicotteri?, o perché un governo agli sgoccioli toglie una castagna dal fuoco a quello che verrà? Tutte solo ipotesi.

Girone e Latorre dicono all’unisono: “Siamo felici di tornare a fare il nostro mestiere”. E, in tutto questo, nessuno, neppure loro, neanche questa volta, si ricorda di dire una parola di consolazione e di vicinanza ai familiari dei due pescatori indiani morti ammazzati il 15 febbraio 2012. Quella notte, i due fucilieri di Marina in servizio anti-pirateria sulla nave commerciale Enrica Lexie spararono contro un peschereccio, scambiandolo per un’imbarcazione di pirati e uccidendo due pescatori: l’episodio avvenne in acque internazionali, al largo di Kochi, nello Stato del Kerala (Sud-Ovest dell’India).

I due marò, che sostengono di avere tirato to solo colpi di avvertimento in aria, furono fermati il 19, dopo che la nave era entrata come se nulla fosse accaduto nel porto di Kochi. Condotti a terra, Girone e Latorre iniziarono il loro controverso viaggio nel sistema giudiziario indiano. Che, oggi, s’è bruscamente interrotto, fra i commenti di giubilo della destra: il solito La Russa e i suoi sodali Crosetto e Meloni commentano un “meglio tardi che mai”; la Polverini plaude; e il ministro della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Palma, un ‘tecnico’, come l’ambasciatore Terzi, li giudica “abili al servizio”.

Intendiamoci!, sul piano del diritto internazionale molti giuristi avvalorano la richiesta italiana d’estradare e processare i due marò, essendo il fatto avvenuto in acque internazionali. Ed è indubbio che la giustizia indiana, specie quella statale, non abbia proprio bruciato i tempi del giudizio (ma non è che noi possiamo dare lezione, in fatto di rapidità della giustizia).

Proviamo piuttosto a pensare che cosa avremmo detto, e che cosa avremmo fatto, a parti invertite: prima, se due militari di un Paese terzo avessero ucciso nel Mediterraneo due pescatori italiani; e, poi, se il Paese terzo avesse preteso di riprenderseli e processarli in proprio; e, infine, se avesse fatto marameo alla nostra giustizia, tradendo la parola data. Fuoco e fiamme, avremmo fatto.

Lo strappo dell’Italia sui marò è l’ennesimo colpo di scena di una vicenda difficile e complicata, che, però, l’Italia aveva gestito con equilibrio e correttezza, rivendicando la competenza giuridica per un episodio che aveva coinvolto "organi dello Stato operanti nel contrasto alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali". Fino al 30 maggio, Girone e Latorre erano rimasti sotto custodia; poi avevano ottenuto di uscire su cauzione, godendo man mano di maggiore libertà.

Il 20 dicembre, mentre il tribunale di Kollam continuava a rinviare l'avvio del processo, e mentre s’attendeva il verdetto della Corte Suprema di New Delhi sulla giurisdizione del caso, i due marò ottenevano, su cauzione e con dichiarazione giurata, una prima licenza di due settimane per passare il Natale a casa. Rientravano in India il 4 gennaio. Il 18, la Corte Suprema disponeva la creazione d’un tribunale speciale a New Delhi per vagliare la questione della giurisdizione. Il 22 febbraio, la seconda licenza, che l’Italia trasforma in un ‘libera tutti’.

1 commento:

  1. be hai la memoria corta e te la rinfresco io .
    Funivia del Cermis due piloti Americani Ammazzano quaranta italiani le convenzioni fanno si che gli americani vengano processati in America e l'Italia accetta.

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