Alla vigilia di una riunione dai contorni incerti del Vertice europeo, il
Parlamento di Strasburgo, riunito in sessione plenaria, getta un sasso nello
stagno dell’Ue e respinge il bilancio 2014/2020 dell'Unione messo a punto a
febbraio dai leader dei 27. L’Assemblea chiede al Consiglio l’apertura di un negoziato.
Con 553 voti a favore, passa la mozione bipartisan presentata da popolari,
socialisti, liberali e verdi: le conclusioni del Vertice di febbraio sono
derubricate a mero “accordo” tra capi di Stato e di governo e respinte “nella
forma attuale''.
Il Consiglio europeo di domani e venerdì si apre, quindi, in un clima di
crisi fra le Istituzioni dell’Unione: una grana in più, che non era all’ordine
del giorno della riunione, ma che non potrà essere ignorata. I leader dei 27
dovranno, infatti, discutere la risposta da dare agli eurodeputati, senza il
cui consenso non si possono varare le prospettive finanziarie a medio termine
dell’Ue.
Senza l’atto di forza del Parlamento, che vuole fare sentire il proprio
peso, a poco più di un anno dalle elezioni europee del maggio 2014, il Vertice
non si annunciava particolarmente teso, e neppure difficile. Le indicazioni che
emergono dai conciliaboli della vigilia lasciano intravvedere un alleggerimento dei vincoli per il deficit
dei Paesi in crisi e, soprattutto, la possibilità per quelli con i conti in
ordine di fare investimenti “produttivi” fuori dai limiti del patto di
stabilità. Non è nulla di rivoluzionario, come scrive oggi su EurActiv Giuseppe
Latour, perché si lavora su decisioni già prese nei mesi scorsi. Ma qualche
passettino in soccorso, in particolare, di Francia e Italia. Venerdì pomeriggio,
poi, si terrà un Eurogruppo straordinario: all'ordine del giorno, la questione
degli aiuti a Cipro e, forse, finalmente, una decisione.
Il Vertice europeo sarà caratterizzato dai molti volti nuovi, bel quattro, anche se l’Italia sarà ancora
rappresentata dal premier Monti, in carica per gli affari correnti. Slovenia, Bulgaria,
Malta e saranno rappresentati da nuovi leader, o perché il paese è andato al
voto, o perché ci sono stati rivolgimenti politici interni, senza passare dalle urne.
In attesa
di quella italiana, le novità già acquisite danno il senso d’un cambio del
clima politico Ue: il Consiglio europeo, infatti, si sta sempre più spostando
verso sinistra, con gli esponenti del Partito socialista europeo che guadagnano
terreno rispetto ai loro colleghi del Partito popolare, che hanno già perso la
maggioranza assoluta. Infatti, ora sono ‘solo’ 13 su 27 i Paesi con leader politici
incasellabili sotto l’ombrello del Ppe: Angela Merkel (Germania), Mariano Rajoy (Spagna), Antonis Samaras (Grecia) e poi i leader di Polonia,
Ungheria, Romania, Irlanda, Lussemburgo, Svezia, Finlandia, Lettonia, Portogallo
e Cipro. Quelli riconducibili all’area socialista sono otto –e, fra essi, il
presidente francese François Hollande- e potrebbero diventare 9 con l’Italia.
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