Il linguaggio del corpo è sempre più sincero, perché istintivo,
delle parole. Ed al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, per la sua
prima visita in Israele da quando è presidente, Barack Obama, presidente degli
Stati Uniti, ha abbracciato il presidente israeliano Shimon Peres ed ha solo
stretto la mano al premier Benjamin Netanyahu. Una conferma, se mai ce ne fosse
bisogno, che tra Obama e Netanyahu –mettetela come volete- “non passa la
corrente”, “non c’è feeling”, “manca la sintonia”.
Le parole, però, quelle finora pronunciate e quelle che lo
saranno di qui a venerdì, sottolineano l’amicizia, anzi l’alleanza tra Stati
Uniti e Israele, addirittura “eterna”, quasi con una sorta d’evocazione
biblica. Se no, perché venire fin qui?, dopo non averlo fatto per tutto un
mandato. “Siamo fieri di essere i vostri migliori alleati –ha esordito Obama
all'aeroporto-. E nostro interesse essere al fianco di Israele”. E dopo avere
espresso la sua fiducia nell'alleanza –appunto- “eterna”, il capo della Casa
Bianca ha rivolto agli astanti un saluto in ebraico accolto dagli applausi e ha
fatto un appello per la pace nella Terra Santa di tutte le religioni
monoteiste. Peres gli ha risposto senza screzi e sul medesimo tono: “Abbiamo la
stessa visione”.
Intanto, a Gaza andava in scena la protesta dei palestinesi
contro “il sostegno unilaterale” degli Usa a Israele. Domani, Obama sarà a Ramallah,
per vedere il presidente palestinese Abu Mazen; e venerdì andrà in Giordania,
per colloqui con il re Abdallah. L’itinerario del presidente statunitense non
prevede tappe calde, in una Regione dove la situazione resta incandescente in Siria;
dove l’anniversario –il decimo- dell’attacco all’Iraq è segnato da cruenti
attentati; dove il deterioramento delle Primavere arabe suscita apprensione
sulla stabilità dell’Egitto e dei Paesi del Nord Africa; e dove il terrorismo
integralista che s’è creato basi nel Sahara e a sud del deserto, è capace di
colpire e uccidere nel Mali, nonostante l’intervento militare francese –oggi,
s’è appreso dell’uccisione d’un ostaggio-.
Non che Israele non abbia fatto qualche gesto per migliorare il
clima dei rapporti con gli Stati Uniti, alla vigilia della visita di Obama. Ieri,
l'esercito israeliano aveva smantellato sei strutture in due insediamenti
illegali in Cisgiordania. E i coloni criticano Netanyahu, che ha appena
perfezionato un’intesa di governo dopo le elezioni di gennaio, per avere
“cercato d’ingraziarsi in tal modo” l’ospite americano.
Insomma, a parte il freddo con Netanyahu e l’inconveniente
singolare dell’auto presidenziale rimasta in panne, la visita, che era stata
preparata da una missione il mese scorso del neo-segretario di Stato John
Kerry, parte bene. Nei colloqui, i temi
di maggiore confronto saranno i principali dossier mediorientali: dalla crisi
siriana al nucleare iraniano; e ancora la transizione egiziana, la lotta al
terrorismo internazionale e, infine, il rilancio della questione
israelo-palestinese. Tuttavia, Obama non intende presentare nell'occasione né
un piano di pace, né una ‘tabella di marcia’ per il ritiro dei coloni dalla
Cisgiordania, come invece avevano riferito alcuni quotidiani israeliani ... a seguire estratti di una nota Ispi ...
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