E’ un cane che si morde la
coda. Anzi, visto che si tratta di un’isola, è un drago marino che s’attorciglia
su se stesso: la crisi di Cipro è figlia di quella della Grecia perché salvare
Atene dal fallimento è costato alle banche cipriote 4,5 miliardi di euro,
debiti cancellati o ‘ristrutturati’. Un colpo da cui gli istituti di credito
“ipertrofici” –la definizione è dell’Eurogruppo- ciprioti non si sono più
ripresi.
E, così, i capitali scappano
dall’isola che diede i natali ad Afrodite: 20 miliardi di euro dall’inizio
dell’anno, vista la mala parata; 4,5 miliardi nell’ultima settimana, quando i
timori di prelievi forzosi cominciavano a circolare. E ‘vox populi’ dice che a
trasferire i soldi all’estero sono stati pure uomini politici.
Cambiare il ‘manico’ non è
servito. Nikos Anastasiades, 66 anni, un conservatore filo-europeo, ha vinto,
il 24 febbraio, le elezioni presidenziali , con un programma che prevedeva si
sollecitare l’intervento dell’Ue. Adesso che l’hanno ottenuto, i ciprioti si
chiedono, però, se il prezzo è giusto.
Dopo Sicilia e Sardegna, Cipro è la terza isola per estensione del Mediterraneo. Un milione d’abitanti circa; indipendente dal 1960; divisa
in due dal 1974, dopo un intervento militare turco e la creazione nel Nord di
uno Stato turco-cipriota riconosciuto solo da Ankara; Cipro è entrata nell'Unione europea nel 2004 e nell’euro nel 2007.
Tuttora divisa da un muro, che separa le
comunità greca e turca lungo la cosiddetta linea verde, l’isola, nonostante sia
vissuta sotto i padroni più diversi –arabi, veneziani, ottomani, inglesi, solo
per restare agli ultimi secoli-, conserva sue caratteristiche proprie. E’ una
repubblica presidenziale con una vaga tendenza alla teocrazia: l’uomo forte,
all’indipendenza, era l’arcivescovo ortodosso Makarios, presidente fino al
1977, che tra molte traversie, un colpo di stato filo-greco e una
contro-invasione turca, si oppose sempre all’idea di un’annessione dell’isola
alla Grecia. E, ancora oggi, la Chiesa ortodossa ha una grande influenza.
Chi guarda la carta vede che Cipro è quasi
equidistante dalla Turchia e dal Libano, vero snodo tra Europa e Medio Oriente.
Ma, oggi, essa è soprattutto vicina a Mosca e a Londra: per russi (circa 50
mila) e britannici (oltre 80 mila), l’isola, con 340
giorni di sole all’anno, belle spiagge, ville di lusso e, soprattutto, una
normativa fiscale favorevole agli stranieri attira pensionati di Sua Maestà e
sedicenti ‘uomini d’affari’ russi che si sono stabiliti in particolare nelle
città costiere di Limassol, Larnaca e Pafos.
Furio Morroni, corrispondente
di lunga data dell’ANSA da quell’area, racconta che i russi che vivono a
Limassol sono talmente tanti che la città è stata ribattezzata ‘Limassolgrad’: ci sono due
quotidiani e un settimanale in lingua russa, due scuole e una stazione radio russe, i ristoranti hanno i menù in
caratteri greci e cirillici.
Ma, prosegue Morroni,
l’economia che ruota intorno a queste due comunità è del tutto diversa: quella dei britannici
(tra cui circa 3.500 militari distaccati nelle due principali basi inglesi
sull'isola) è sostanzialmente sana, consiste
quasi del tutto in stipendi e pensioni pagati mensilmente da Londra e in
risparmi di una vita investiti per l’acquisto
di una casa per la vecchiaia.
L'economia dei russi, invece,
è fatta di commerci e investimenti. E ha già
attirato sull’isola sospetti di traffici illeciti e, soprattutto, di riciclaggio. Quale che ne sia l’origine, i soldi
dei russi finiscono nelle banche di Cipro che li attirano con retribuzioni
elevate, senza contare che la tassa sulle società è la più bassa d’Europa, al
10% -ora, salirà al 12,5%, sempre una manna-. I depositi russi ammontano,
secondo alcune stime, a circa 20
miliardi di euro, su un totale di quasi 69 miliardi;
quelli di residenti di altre nazionalità sarebbero intorno ai 5,5 miliardi.
Il prelievo forzoso sui depositi bancari va, dunque, a
colpire gli interessi dei cittadini russi
residenti a Cipro. E, infatti, mentre il governo britannico s’è limitato ad
annunciare una sorta d’assicurazione per i suoi cittadini, il presidente russo
Vladimir Putin s’è scagliato contro la tassa "ingiusta e pericolosa".
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