Finalmente, una cosa giusta, in questa vicenda dei due
marò, Giulio Terzi l’ha fatta: s’è dimesso. Ma quando le storie nascono male,
tutto va male. E, così, pure la cosa giusta il ministro degli Esteri l’ha fatta
nel modo sbagliato: lavando in pubblico, in Parlamento, i panni sporchi d’un
governo che, per essere tecnico, non poteva essere meno professionale.
Da non credere che il ministro Terzi sia, o sia
stato, un esperto diplomatico, ambasciatore in Israele, all’Onu e negli Usa; da
non credere che il ministro della difesa Giampaolo Di Paola sia, o sia stato,
un esperto ammiraglio, capo di Stato Maggiore della Difesa e presidente del
Comitato militare dell’Alleanza atlantica.
L’8 Settembre del governo tecnico, lo definisce Lapo
Pistelli, deputato Pd. Errori di valutazione e d’azione in serie, retromarce e
ripensamenti, isterie e ingenuità. E, per la terza volta in meno d’un mese,
l’Italia è breaking news sui media indiani: prima, i marò non tornano; poi, contrordine,
i marò tornano; ora, mi dimetto in disaccordo con il governo.
Bene. Ma se Terzi non era d’accordo con la decisione
di farli tornare in India, dopo avere preso lui la decisione di non farli
tornare, perché aspetta adesso per dimettersi e non l’ha fatto subito, prima di
smentire se stesso e, soprattutto, di spiegare ‘Urbi et Orbi’ perché era giusto
che tornassero? E se il ministro Di Paola è così convinto che, invece,
bisognava farli tornare, pur avendo avallato prima la decisione di non farli
tornare, perché tollera la levata di scudi anti-governo dei vertici militari?,
e, soprattutto, perché non s’è dimesso prima?
Sinceramente, è difficile raccapezzarcisi, al di là
delle opinioni personali: la mia è che i marò non sono eroi, ma militari
professionisti che, probabilmente, hanno compiuto un errore nell’esercizio
delle loro funzioni, uccidendo due pescatori indiani scambiati per pirati; e
che, una volta preso l’impegno che sarebbero tornati, dovevano tornare in
India, ferma restando la pretesa italiana, sostenuta da giuristi di valore, di
processarli in Italia.
Terzi parla a Montecitorio, ha accanto
Di Paola, coglie di sorpresa i deputati e il collega. Ricostruisce la vicenda
di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, si toglie qualche sassolino ("Tutte le
istituzioni erano informate e d'accordo sulla decisione di trattenere in Italia
i marò. La linea del governo è stata approvata da tutti l'8 marzo"), lamenta che le
riserve da lui espresse circa il ritorno in India dei due non abbiano “prodotto
alcun effetto” e annuncia: "Mi dimetto in disaccordo con il governo … Mi
dimetto perché per 40 anni ho ritenuto, e ritengo oggi, in maniera ancora più
forte, che vada salvaguardata l'onorabilità del paese, delle forze armate e
della diplomazia italiana".
La parole di Terzi, che spiega di avere aspettato perché
voleva dimettersi in Parlamento, sollevano un putiferio di commenti. Di Paola
tiene a chiarire che le valutazioni di Terzi non sono quelle del Governo; il
premier Monti lo conferma e precisa di non essere stato informato delle
intenzioni di Terzi; la destra plaude a un gesto “di grande dignità” –parole di
Franco Frattini, ex ministro degli esteri-; la presidente della Camera Laura
Boldrini invita il presidente del Consiglio a presentarsi in aula a riferire.
Contemporaneamente, a Bruxelles, i vicepresidenti del
Parlamento europeo Roberta Angelilli (Pdl) e Gianni Pittella (Pd) scrivono all'Alto
rappresentante della politica estera dell'Unione europea Catherine Ashton
perché assista il Governo italiano in questa vicenda: se siamo davvero nelle mani
della Lady di Burro della politica estera europea, il peggio, forse, deve
ancora venire.
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