Vladimir Putin, il nuovo zar, non vuole nemici intorno, che
siano avversari politici troppo ambiziosi o oligarchi che scelgano di fare di
testa loro: li caccia, li arresta, li demolisce. Qualcuno finisce intossicato
dal polonio; qualcuno, magari, depresso, si suicida. E quando gli antagonisti
se ne vanno davvero, muoiono e tolgono il disturbo, che sia decesso naturale,
suicidio o omicidio, Putin manco concede loro l’onore delle armi. Impietosamente,
Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, definisce Boris Berezovski,
l’oppositore di Putin scomparso ieri nei pressi di Londra, “un nemico
impotente”, la cui influenza in Russia era “ormai vicina a zero”.
Come dire: non contava più nulla, non c’era bisogno di darsi
la pena d’eliminarlo, non siamo noi. “Le sue critiche –aggiunge Peskov- non
erano costruttive” e neppure va sopravvalutato “il suo ruolo negli Anni 2000” . Peskov, probabilmente,
ha ragione. E, fra le qualità di ‘pezzo di ghiaccio’ Putin, la ‘pietas’ non ha
mai avuto un posto di rilievo. Se ne rendeva conto lo stesso Berezovski, che,
oltre all’influenza, aveva anche perso le fortuna da miliardario. Circa due
mesi or sono, avrebbe scritto una lettera di suo pugno al presidente,
riconoscendo di avere commesso degli errori e chiedendogli perdono –la fonte è
sempre Peskov-.
La morte di Berezovski è di quelle che lasciano dietro una
scia di dubbi e creano aloni di sospetti: per anni, ne sentiremo raccontare “la
vera storia”, ammesso che, allora, interessi ancora a qualcuno. Il miliardario,
67 anni, origini ebraiche, professore di matematica, poi rivenditore di auto,
quindi capitalista d’assalto, è stato trovato senza vita sabato nel bagno della sua casa di Ascot nel
Surrey dove si era esiliato dal 2000.
Aleksandr Dobrovinski, uno dei suoi legali, ha detto che si
tratta di suicidio. Un amico ed ex socio, Damian Kudriavtsev, parla di infarto:
Berezovski, da mesi depresso, aveva avuto attacchi di cuore in passato e
sarebbe pure stato in Israele per cure cardiache. Aleksandr Godfarb, altro
amico ed ex collaboratore, conferma stress e depressione recenti, ma solleva
dubbi sulla autenticità della lettera al Cremlino.
E c’è chi non crede a nulla di tutto ciò. I motivi per farlo
non mancano, come a Berezovski non mancavano i nemici: vittima già nel 1994 a Mosca di un fallito
attentato dinamitardo, costato la vita al suo autista, il ‘tycoon’ in rovina,
lui che era stato il primo russo a entrare fra i 100 uomini più ricchi al
Mondo, sosteneva di essere scampato, nel 2004 e nel 2007, a due agguati dei
servizi segreti russi.
Fantasie?, complessi di persecuzione? Forse, non sproprio:
in mezzo c’è l’ancora misteriosa morte per avvelenamento da polonio radioattivo
di Aleksandr Litvinienko, ex agente del Kgb, suo stretto collaboratore, un
altro transfuga anti-Putin.
Di Berezovski, non è il caso di tracciare qui la biografia
–i giornali ne sono pieni-: fortune colossali nell’era breve del ‘capitalismo
selvraggio’ post Urss; e un’influenza politica e mediatica decisiva nella
rielezione nel 1996 di Boris Ieltsin; poi, l’inizio del declino con l’avvento
al potere di Putin, che risponde con la minaccia “di un bel randello” alle sue
critiche; e, nel 2000, la scelta dell’esilio, che lo mette al riparo dal destino toccato a un
altro ‘paperone’ anti-Putin, Mikhail Khodorkovski, in carcere da dieci anni.
Intendiamoci: non è che questi ‘tycoons’ siano necessariamente meglio dello
zar, dal punto di vista del rispetto delle regole, dei diritti e della
democrazia: loro hanno perso, lui ha vinto, la differenza sta sostanzialmente
lì.
Però, Berezovski perde tutto in patria e deve guardarsi le
spalle in Inghilterra. Inquisito in Russia, svende i pezzi del suo impero;
litiga –e gli costa una fortuna- con l’ex protetto Roman Abramovich; e non
rinuncia a sostenere l’opposizione a Putin, mentre Abranmovich si contenta di
fare il ‘mangia allenatori’ al Chelsea. L’ultima mazzata gliela dà l’ex
compagna Ielena Gorbunova, che vuole portargli via quel che gli resta.
Gli inquirenti britannici non si sbilanciano: la polizia
criminale della Valle del Tamigi che indaga considera le cause della morte “non
ancora chiare”, mentre la scientifica mette soqquadro la villa, compiendo
accertamenti per ora inconcludenti –salvo fare sapere a chi abita nei pressi
che non ci sono “pericoli”-. Il polonio, forse, non c’entra. Ma Putin sa
comunque come avvelenarti la vita.
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