Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/09/2010
Qual è il problema?, la lapidazione? E allora, niente lapidazione. O la condanna per adulterio? E allora, niente adulterio. L’Iran integralista di Mahmud Ahmadinejad accontenta l’Occidente che protesta per la condanna a morte inflitta a Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna di 43 anni, madre di due figli, moglie infedele, la cui vicenda suscita emozioni e polemiche forti in Italia e in Francia e –meno- nel resto del Mondo. Sakineh morirà impiccata, colpevole di avere complottato per fare uccidere il marito dall’amante. Proprio come Teresa Lewis, la donna americana di 41 anni, con un quoziente intellettivo poco al di sopra della soglia dell’handicap mentale, la cui condanna è stata eseguita nel carcere di Jarratt, in Virginia, Stati Uniti, la settimana scorsa: due storie parallele, l’iniezione letale da una parte, la forca dall’altra. Che differenza c’è?, in fondo.
Certo, il sistema giudiziario iraniano è meno trasparente di quello americano. Ma, di fatto, il regime di Teheran ‘de-islamizza’ e ‘occidentalizza’ il reato e la pena e ‘mette il silenziatore’ alle proteste, o almeno ne delegittima molte, specie quelle –già flebili- statunitensi.
Per Sakineh, la sentenza di condanna a morte per adulterio tramite lapidazione era stata sospesa fin da luglio. A fare ora sapere che la donna è stata condannata all’impiccagione è stato il procuratore generale iraniano Gholamhossein Mohseni-Ejei, citato dal Teheran Times. Poco dopo, il ministero degli esteri affermava che “il procedimento giudiziario non s’è ancora concluso” e che “il verdetto sarà pronunciato in via definitiva quando l’iter sarà finito”.
Il figlio di Sakineh mediaticamente più attivo, Sajjad Ghadarzadeh, chiede in lacrime all’Italia “d’intervenire “. E la Farnesina auspica “fortemente che la condanna possa essere rivista”, aggrappandosi allo spiraglio di speranza lasciato dal ministero degli esteri iraniano e assicurando che il governo italiano “continua ad adoperarsi con la massima determinazione, come ha finora fatto”: L’Italia è e resta contraria alla pena di morte “ovunque e in qualsiasi modo venga eseguita”.
La vicenda umana e giudiziaria, che si trascina da quattro anni, resta intrisa di contraddizioni e zeppa di punti oscuri. Sakineh, di etnia azera, subisce nel maggio del 2006 99 frustate: lo dispone un tribunale di Tabriz, perché la donna è rea confessa di adulterio (lei dirà di averlo ammesso sotto tortura). Nel settembre del 2006, un altro tribunale la condanna per l’omicidio del marito: morte per lapidazione, è la sentenza, confermata l’anno dopo dalla Corte Suprema.
Non accade nulla per tre anni, quando l’esecuzione della sentenza pare vicina. Innescata dai figli, Sajjad e una ragazza, scatta la mobilitazione internazionale. L’esecuzione è sospesa. Ma, in agosto, Sakineh confessa in tv l’adulterio e la complicità nell’omicidio –dichiarazioni forse estorte-. Il caso diventa uno dei tasselli del confronto tra l’Iran e l’Occidente.
La scorsa settimana, a New York, il presidente iraniano nega che la sentenza di lapidazione sia mai stata pronunciata. E la mancanza di trasparenza del sistema giudiziario iraniano non consente di fare chiarezza. Ora, il procuratore generale dice che le sentenze sono due, ma che quella per omicidio “ha la precedenza” su quella per adulterio. Il figlio, di cui si ignora quali siano le fonti, afferma che la condanna a morte sarà “annunciata ufficialmente fra due settimane”. L’avvocato Javid Hutan Kian cercherà, nei prossimi giorni, di bloccare l’esecuzione e di ottenere una revisione del verdetto.
In Italia, le notizia da Teheran suscitano reazioni a raffica. Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli chiede che “l’Italia ritiri immediatamente l’ambasciatore a Teheran” –e quello a Washington?-, accusando Ahmadinejad “di stare facendo un uso politico della vita di Sakineh per alzare il livello dello scontro con Europa e Stati Uniti”. Ma l’attenzione dei media occidentali è molto diversificata: alle 15.00 di ieri, la Reuters non aveva dedicato a Sakineh una riga nel notiziario generale, l’Afp un dispaccio e l’Ansa almeno 15 notizie. Segno d’una diversa sensibilità delle opinioni pubbliche.
mercoledì 29 settembre 2010
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