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lunedì 6 settembre 2010

PENSIERI: l'Obama italiano e le lezioni progressiste

Scritto per il Blog de Il Fatto Quotidiano il 06/09/2010

Con un bell’articolo su Il Fatto Quotidiano di venerdì scorso, 3 settembre, il professor Maurizio Viroli, invitava il Pd a trovare il proprio Obama, per battere alle urne, quando verrà il momento, Berlusconi e la sua coalizione. Ora s’è definitivamente chiarito che l’Obama del Pd non può essere Fini, nonostante l’attesa quasi messianica del discorso di Mirabello: Fini non è uomo di sinistra e non si propone come tale.

Dunque, la ricerca del Pd, se mai dovesse cominciare, dovrebbe svolgersi senza equivoci e senza tentazioni nell’area della sinistra. Già, ma orientarsi lì dentro, un guazzabuglio dove i confini sono labili e gli Obama non si sprecano – né lì né altrove, a dire la verità -, mica è facile. Muoversi potrebbe essere più semplice usando come bussola un libro che John Podesta, capo dello staff della Casa Bianca di Bill Clinton – stava a Clinton come Letta sta a Berlusconi, tanto per intenderci – e artefice della transizione di Barack Obama, ha da poco pubblicato in Italia. Podesta è venuto a presentarlo su varie piazze delle Feste del Pd, a Torino – dove ha incontrato Bersani – e a Genova la scorsa settimana, finendo poi sulla piazza della Festa dell’Api a Labro.

Con una sintesi tutta anglossassone, l’autore racconta in meno di 200 pagine agili e piane da leggere ‘L’America del progresso’, un secolo di sinistra americana da Roosevelt a Obama. Lo fa in modo chiaro, perché questo figlio di emigrati – padre italiano, madre greca, anche lui interprete, in ottavo rispetto a Obama, del ‘sogno americano’ (in due generazioni dalla nave della speranza alla stanza del potere alla Casa Bianca) – ha le idee chiare. Essere progressisti, cioè, diremmo noi, essere di sinistra, significa quattro cose: primo, “i progressisti si schierano con il popolo, non con i privilegi”, con la gente, non con la casta, meritocrazia e pari opportunità; secondo, “i progressisti credono nell’interesse generale e in un governo che dà una mano alla gente”, praticano la solidarietà; terzo, “per i progressisti tutti sono uguali, agli occhi di Dio e della Legge”, sono per lagiustizia; quarto, “i progressisti sono a favore dei diritti umani universali e della cooperazione in materia di sicurezza globale”, difendono i diritti dell’uomo e il diritto allo sviluppo e alla sicurezza. Insomma, essere progressisti, o di sinistra, è semplice, più dell’uovo di Colombo, ed è anche facile dirlo: quelle idee hanno una forza tale che, se espresse, vanno avanti (quasi) da sole: la via che porta al successo – diceva, mi pare di ricordare, un progressista ante-litteram, illuminista e massone,Benjamin Franklin - è larga e piana, come quella che porta al mercato, ma è lunga e richiede forza e costanza. Per arrivare fino in fondo, basta non farsi tentare dalle scorciatoie, cioè non impegolarsi a priori in patteggiamenti di alleanze e non ingarbugliarsi in intrighi politichesi o elettorali. Certo, il professor Viroli ha ragione: se c’è un Obama, è meglio. Ma anche senza ‘Yes, we can’.

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