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martedì 14 settembre 2010

Libia: l'amico Gheddafi ci spara contro da navi italiane

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/09/2010

L’amico Gheddafi ci spara addosso, con armi italiane da una motovedetta italiana e con a bordo militari italiani per insegnare ai libici come si fa. E’ il modo del dittatore di ricambiare all’Italia l’amicizia appena celebrata a Roma in pompa magna: l’accordo del 2008 ‘fa acqua’, anzi poteva ridursi a un colabrodo. E non è neppure la prima volta che Gheddafi ci tira contro: nel 1986, ci sparò due missili, senza prenderci –l’obiettivo era un’installazione militare Usa a Lampedusa-.

Per carità!, Gheddafi e i libici possono pure averci le loro ragioni: allora, nel 1986, un raid aereo Usa aveva appena bombardato il territorio libico, facendo decine di vittime a Tripoli e a Bengasi, fra cui una figlia adottiva del colonnello; e questa volta, il motopesca Ariete di Mazara del Vallo aveva forse violato le pretese acque territoriali libiche.

Ma non è che spararci addosso, a rischio di fare vittime, fosse, domenica sera, l’unica opzione. La sventagliata di mitraglia contro l’Ariete, motopesca d’altura di Mazara del Vallo, 32 metri, è stata preceduta dall’intimazione a fermarsi, ma il peschereccio è riuscito ad evitare l’abbordaggio e, ieri mattina, è giunto a Lampedusa. I colpi hanno sforacchiato la fiancata e raggiunto la cabina di guida e un gommone utilizzato come tender. Nessun dei membri dell’equipaggio, una decina di persone, è rimasto ferito. “Siamo vivi per miracolo –ha riferito un marinaio-: hanno sparato all’impazzata”, rischiando di provocare l’esplosione delle bombole di gas a bordo.

La motovedetta libica era una delle sei unità della Guardia di Finanza che il governo italiano ha consegnato a Tripoli (tre nel maggio 2009 e tre a inizio 2010) nel quadro dell’accordo per contrastare con pattugliamenti congiunti l’immigrazione clandestina. Oggi, le sei unità sono libiche a tutti gli effetti e battono bandiera libica: i finanzieri a bordo fanno da osservatori e forniscono consulenza tecnica (chissà se avranno suggerito l’alzo da usare per tirare contro l’Ariete).

Mentre si scatenano le polemiche e l’opposizione chiede al governo di riferire in Parlamento, la Guardia Costiera conduce l’inchiesta, i cui atti andranno alla Procura di Agrigento per eventuali sviluppi giudiziari. Il comandante del peschereccio, Gaspare Marrone, è stato il primo a essere ascoltato: l’attacco è avvenuto a circa 30 miglia dalle coste libiche, vicino alle acque tunisine, mentre l’Ariete non stava pescando. La versione del comandante sarà confrontate con i dati della ‘blue box’, una sorta di ‘scatola nera’.

La ‘guerra’ tra pescatori mazaresi e autorità libiche, e pure tunisine, va avanti da molti anni. Prima dell’estate, il 10 giugno, i libici avevano sequestrato tre pescherecci mazaresi, rilasciandoli tre giorni dopo per intervento di Berlusconi. Il contenzioso di pesca nasce dalla pretesa di Gheddafi che tutte le acque del Golfo della Sirte siano libiche, ben oltre i limiti del diritto internazionale. Italia e Libia si sono impegnate a trovare un’intesa in materia di pesca, ma non l’hanno ancora raggiunta.

La Farnesina sta cercando di capire come sono andate davvero le cose e, intanto, prova a stringere i negoziati: stavolta è andata bene, la prossima potrebbe essere una tragedia. L'ambasciatore libico in Italia Abdulhafed Gaddur annuncia la creazione di "una commissione d'inchiesta sui motivi dell'incidente, aperto anche agli italiani".

In passato, l’Ariete aveva più volte soccorso barconi di migranti in difficoltà, contribuendo a salvare oltre 700 persone. Dopo un episodio, il comandante Marrone aveva detto: “La legge del mare ci impone di aiutare chi è in difficoltà. Abbiamo fatto il nostro dovere, torniamo al lavoro”. Gesti e parole che valsero a lui e all’equipaggio un premio del commissariato dell’Onu per i rifugiati. Ora, l’amico Gheddafi li ha premiati a modo suo.

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