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sabato 4 settembre 2010

MO: il rebus della pace, i + e i - della trattativa ripartita

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 04/09/2010

Nemici e ostacoli della pace mediorientale sono dovunque. Ne trovi dove meno te li aspetti, persino nei gelidi corridori della Commissione europei. Un esempio: Karel de Gucht, commissario europeo al commercio estero, belga, fiammingo, se ne viene fuori a denunciare “il potere” della lobbry ebraica nel Congresso Usa e la difficoltà “anche per gli ebrei più moderati” di essere “razionali”. Imbarazzo dell’Esecutivo comunitario e denunce di antisemitismo: ne nasce un putiferio.

Il giorno dopo la ripartenza, a Washington, dei negoziati israelo-palestinesi (obiettivo un accordo entro un anno, con appuntamenti quindicinali), il cauto ottimismo della stampa ebraica s’intreccia col pessimismo minaccioso iraniano: “La trattativa è nata morta” ed è “destinata a fallire”, dice il presidente Ahmadinejad. E 13 gruppi armati palestinesi decidono di coordinare gli attacchi contro Israele.

La trattativa è complessa, difficile, appesa a un filo, ma, nello stesso tempo, solidissima. Alcuni elementi di fragilità ne sono punti di forza; e viceversa. Vediamo il perché, sapendo che la prima trappola arriva subito, il 26 settembre, quando scadrà la moratoria israeliana in atto da 10 mesi sui nuovi insediamenti nei Territori. Israele non intende rinnovarla. E, senza rinnovo, i palestinesi non intendono proseguire i negoziati.

Il groviglio dei nodi – I temi della trattativa, cioè i confini tra Israele e la futura Palestina, l’assetto di Gerusalemme, il diritto al ritorno dei rifugiati, la colonizzazione, la sicurezza, sono ognuno in sè complesso e tutti fra di loro intrecciati; e le parti sono attestate su posizioni rigide. E’ un handicap. Ma se Netanyahu e Abu Mazen siedono al tavolo, vuol dire che concessioni, magari condizionate, sono disposti a farla, magari con soluzioni in cui ciascuno mascheri i cedimenti dietro i successi. Un’ipotesi: al ritorno dei palestinesi da dove furono cacciati 40 anni or sono e più pochissimi credono davvero, ma la rinuncia potrebbe ricevere compensazioni economiche e dare loro il diritto di vivere da cittadini dove oggi sono rifugiati. E ancora, gli insediamenti: Israele, almeno per ora, potrebbe non rinunciarvi formalmente, ma evitare di attuarne di nuovi.

La mancanza di una scadenza – L’impegno è di trovare un accordo entro un anno. Ma non c’è una scadenza diplomatica o istituzionale cogente –non prima delle elezioni presidenziali Usa 2012-. Male, perché nessuno avrà fretta; ma pure bene, perché nessuno si sentirà soffocato dal trascorrere dei giorni. Né è pensabile che israeliani e palestinesi vogliano puntare sul successore di Obama.

Il numero dei protagonisti – Israeliani e palestinesi sono gli attori principali, egiziani e giordani i ‘facilitatori’, gli Stati Uniti e il Quartetto (Onu, Usa, Ue e Russia) i mediatori e i garanti. Ma la trattativa non riuscirà senza il coinvolgimento di Siria e Libano, che non hanno ancora fatto la pace con lo Stato ebraico; e sullo statuto di Gerusalemme, città santa delle tre religioni monoteiste, dirà la sua anche la Santa Sede. Le tessere del puzzle sono così numerose che comporre tutto il mosaico è un rompicapo, ma le possibilità che qualcuna vada a posto sono maggiori.

La debolezza dei leader – Netanyahu e Abu Mazen sono entrambi leader deboli, l’uno condizionato dalla destra religiosa, l’altro poco rappresentativo della sua gente. Antonio Ferrari, acuto esperto di Medio Oriente, sostiene, sul Corriere della Sera, che il prodotto di due debolezze può fare una forza. Algebricamente, è vero. Ma se si conta la debolezza di Obama, in difficoltà verso il voto di midterm, allora l’algebra ci gioca contro. Il fattori e le incognite sono numerosi: difficile dire se il prodotto sarà un + o un -

La molteplicità dei nemici – De Gucht a parte, che non incide, i nemici dei negoziati sono ovunque: con le armi o con le parole, musulmani ed ebrei, sul terreno e nei media, ideologi o politici, cercheranno di ‘farli saltare’ ogni giorno. Ma la virulenza, che li rende pericolosi, li rende pure prevedibili: israeliani e palestinesi, se sono in buona fede, saranno immuni alle provocazioni.

L’ineluttabilità della pace – Se è ineluttabile, allora perché fare sforzi, e soprattutto, concessioni per ottenerla? La convinzione è un handicap, non una molla. Ma è pur vero che anche il conflitto è ineluttabile, fin quando la pace non è garantita. E, allora, meglio trovare una quadra.

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