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venerdì 24 settembre 2010

MO: Obama vuole la pace e pungola gli israeliani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/09/2010

Altro che discorso sullo stato dell’Unione, che fa ogni anno a fine gennaio. Quello di Barak Obama dalla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è un discorso sullo stato del Mondo, che spazia dalle speranze di pace in Medio Oriente alle ansie per l’ambiente all’urgenza della ripresa, dopo la crisi economica dell’autunno 2008. Il presidente statunitense spinge perché i negoziati appena ripresi fra israeliani e palestinesi vadano avanti; risponde con cautela, ma senza chiusure, alle aperture venute a sorpresa nelle ultime ore dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad; conferma l’impegno a ritirare tutte le truppe dall’Iraq entro l’anno prossimo –ce ne sono ancora 50 mila-, proprio mentre il suo proconsole in Afghanistan, il generale David Petraeus, dice al NYT che non bisogna mettergli fretta per il ritiro da laggiù; e, infine, affronta il tema di un’economia che s’è lasciata alle spalle lo spettro della depressione, ma che deve ancora ritrovare ritmi di crescita che producano, oltre che ricchezza per alcuni, posti di lavoro per tutti.

Il discorso all’Onu di Obama, il momento culminante della settimana clou dell’Assemblea generale, crocevia annuale della diplomazia internazionale, è segnato da una gaffe diplomatica e da un’alone di giallo internazionale (subito spazzolato via da smentite e precisazioni). La gaffe: Obama ritarda e, così, sul podio, al suo posto, va il presidente svizzero, la signora Doris Leuthard, non prima che il presidente di turno dell’Assemblera, svizzero anch’egli, Joseph Deiss, precisi che la Confederazione non si sta arrogando il ruolo di superpotenza, ma si preoccupa di fare rispettare la puntualità.

L’alone di giallo lo provoca la delegazione israeliana: seggi vuoti, quando il presidente statunitense prende la parola. Subito, si ipotizza un “boicottaggio”., anche perché Obama dice, fra le tante, almeno una cosa che suona stilettata a Benjamin Netanyahu e al suo governo: chiede che Israele estenda la moratoria sugli insediamenti, la cui scadenza è imminente, il 26 settembre, una decisione cui i palestinesi subordinano il prosieguo delle trattative. Viene fuori che l’assenteismo israeliano è ispirato al rispetto di una festività ebraica: nessun boicottaggio, quindi; anzi le fonti israeliane giudicano il discorso del presidente “equilibrato”. Ma quei seggi vuoti non sono una bella foto.

L’impegno per la pace in Medio Oriente è il tema più forte dell’intervento di Obama, le cui parole trovano un’eco a Roma nelle dichiarazioni del presidente egiziano Hosni Mubarak. Davanti alla stampa, accanto a Silvio Berlusconi, che non rinuncia ai suoi consueti tocchi macchiettistici, Mubarak afferma che la moratoria degli insediamenti è necessaria perché i negoziati vadano avanti e sollecita un ruolo attivo dell’Unione europea. Berlusconi, in sintonia con l’ospite e con Obama, s’impegna a intervenire “presso gli amici israeliani” perché Netanyahu proroghi la moratoria “almeno fino a fine anno per un periodo di tre mesi”.

Il presidente statunitense parla a largo spettro: chiede che cessino proclami e tentativi di distruggere Isarele, afferma che la sicurezza dello Stato ebraico richiede la nascita d’una Palestina indipendente e preconizza che il nuovo Stato possa nascere fra un anno, se le trattative si concluderanno nei tempi previsti in modo positivo. Obama riconosce al premier Netanyahu e al presidente palestinese Abu Mazen “il coraggio per la pace”.

Ad Ahmadinejad, che aveva usato toni pacati, nonostante contenuti polemici, il presidente risponde con l’impegno “a cercare una soluzione” sul problema dei programmi nucleari iraniani potenzialmente militari. E sul fronte della lotta al terrorismo, ribadisce che la priorità è sconfiggere al Qaida e la tirannia che “è ancora fra noi”, forte della certezza che “la storia sta con la libertà”.

Obama anuncia un viaggio in Oriente quest’autunno, dopo le elezioni di midterm, il 2 novembre, e chiede la cooperazione dei Paesi emergenti, di Cina e India, di Brasile e Russia, per rilanciare l’economia ed affrontare lo spettro dell’effetto serra. La presenza del presidente all’Onu è occasione per incontri bilaterali, fra cui uno col premier cinese Wen Jiabao, in vista della visita a Washington nel 2011 del presidente Hu Jintao: Usa e Cina devono lavorare insieme per una crescita bilanciata e per garantire stabilità e sicurezza.

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