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lunedì 27 settembre 2010

Un Miliband di più in Gb, uno di meno in Europa

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 27/09/2010

Che stagione desolante, per la sinistra europea: non ne azzecca una, mi vien da dire, né dove c’è (Spagna, e basta mi sa), né dove non c’è (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e fermiamoci qui, ai Grandi dell’Ue). Uno chiede: “Vero! Ma perché lo dici ora?”. L’altra sera, quando s’è saputo che i laburisti britannici avevano scelto Ed Miliband come nuovo leader, e non il fratello David, m’ha preso un attacco di bile. Non che m’importi molto delle gerarchie di famiglia a casa Miliband (Red-Ed è più giovane e più di sinistra e forse per questo ha vinto), e neppure delle faccende interne ai laburisti britannici, chè, dai tempi che li guidava il compagnuccio di Bush Tony Blair faccio fatica a collocarli a sinistra –e spesso sbaglio-. Ma il caso che m’offende è europeo e ve lo racconto. L’anno scorso, più o meno di questi tempi, anzi era autunno più profondo, l’Unione dei 27 doveva scegliere per la prima volta un presidente ‘stabile’ del Consiglio europeo e una sorta di ‘ministro degli esteri’ europeo, che, in realtà, si chiama pomposamente alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, è pure vicepresidente della Commissione europea e presidente del Consiglio dei ministri degli esteri dell’Ue. L’una e l’altra carica sono previste dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1.o dicembre 2009. Come andò? Il Partito popolare, che nel Parlamento di Strasburgo è il gruppo più numeroso, si prese il presidente ‘stabile’, che dura in carica due anni e mezzo, e puntò sull’allora premier belga, una figura non troppo nota, Herman Van Rompuy, rivelatosi, però, paziente mediatore ed efficace negoziatore. Il Partito socialista, che è secondo al Ppe, chiese per sé il posto di ‘ministro degli esteri’. Forse vi ricordate: era quando in Italia, solo in Italia, si scriveva che c’era in corsa per quel posto Massimo D’Alema, mentre i capi di governo socialisti dell’Ue s’erano già messi d’accordo che l’incarico andasse a un britannico. E, qui, il primo errore: scegliere un laburista, nell’imminenza di elezioni che, più che verosimilmente, dovevano consegnare il potere ai conservatori significava nominare qualcuno che, di lì a poco, avrebbe avuto un rapporto non idilliaco con il suo stesso governo e sarebbe contato poco nel suo stesso Paese. Ma non basta: i laburisti, invece di giocare la carta di David Miliband, che era ministro degli esteri, volarono basso e indicarono Lady Ashton, che nessuno sapeva chi fosse allora e nessuno lo sa neppure adesso, perché questa creaturina politica di Blair, una laburista baronessa, non brilla né per intraprendenza né per abilità e appena può, lei che dovrebbe essere la voce dell’Europa nel Mondo, sta zitta. E qui, il secondo errore: i laburisti, che già sentivano arrivare la sconfitta di Gordon Brown, puntualmente verificatasi alle politiche di maggio, preferirono tenersi Miliband di riserva nel partito, pensando che sarebbe stato lui il successore del leader sconfitto. E, invece, adesso l’Unione europea si tiene Lady Ashton, che non fa ombra a nessuno; i laburisti si tengono ‘Red-Ed’, che sta già facendo indietro tutta, perché troppo rosso si perde (ricordate Neil Kinnock, il gallese che era rosso persino nei capelli rimastigli?); e David si tiene smacco e magone, in attesa di decidere se fare da spalla, o meno, al fratellino che lo vorrebbe come cancelliere dello scacchiere nel suo governo ombra. Capite adesso perché la bile? Potevamo avere noi un Miliband in Europa e loro uno in Gran Bretagna; mentre a Lady Ashton un posto all’ombra non era difficile trovarglielo.

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